Lo spirito del Mahatma
La sfida dell’India verso un reddito base di cittadinanza per tutti
Uno dei Paesi più popolosi del pianeta sta pensando di introdurre un reddito base di cittadinanza. Una sfida immensa su larga scala. Con entusiasti, critici e attendisti.
Lo spirito di Gandhi, il Mahatma o Grande Anima che invocò l’autogoverno dell’India e ispirò l’indipendenza dalla Corona britannica, è ancora vivo. Lo ha evocato un’indagine del governo dell’Unione citando una sua famosa frase: «cancellare ogni lacrima da ogni occhio» che è venuta in mente al capo consigliere economico del ministro delle Finanze Arvind Subramanian nel momento in cui il rapporto affrontava un tema molto scottante: introdurre o meno un Universal basic income (Ubi), ossia un reddito base di cittadinanza per tutti. Arvind ammette che Gandhi era contrario a che fosse fornito un pasto gratuito a chiunque poiché qualcuno poteva non aver lavorato onestamente. Ma, conclude l'indagine, forse «il
Mahatma sarebbe stato in conflitto con l'idea [di Ubi], ma a conti fatti avrebbe potuto approvarla». Di che si tratta?
L’indagine del ministero è annuale e si svolge prima dell’approvazione del bilancio che fa i conti, a inizio anno, con l’economia di un Paese dove quasi 300 milioni di persone, su una popolazione di 1,3 miliardi, continua a vivere in estrema povertà nonostante il rapido sviluppo che l’India ha conosciuto negli ultimi decenni. L’idea di fondo è che si potrebbe immaginare di dare un piccolo reddito fisso ai suoi cittadini ogni mese anziché far ricorso a una pletora di sussidi e programmi di assistenza sociale spesso inefficaci o inefficienti. Il dibattito è aperto.
Il rapporto governativo ha calcolato che un Ubi annuale di 7.620 rupie a testa (circa 100 euro) solleverebbe quasi tutti i poveri indiani al di sopra della soglia di povertà di 893 rupie al mese (la cifra si basa sui prezzi di 2011-2012 al netto dell'inflazione). Secondo i calcoli del ministero delle Finanze, questo schema ridurrebbe la povertà dal 22% attuale a meno dello 0,5%. Ma da dove verrebbero i soldi? Verrebbero dal riciclo di circa 950 programmi di assistenza sociale inclusi quelli di sussidio alimentare, per l’acqua o i fertilizzanti. Se si decidesse di fornire l’Ubi al 75% della popolazione questo varrebbe il 4,9% del Pil. Oggi alcuni segmenti della classe media indiana ricevono sussidi – dal gas da cucina ai viaggi in treno alle esenzioni dall'imposta sul reddito personale – che ammontano all’1,05% del Pil mentre i sussidi ai poveri su carburante, cibo e fertilizzanti contano per il 2,07% del Pil. Si chiuderebbe dunque una borsa per aprirne un’altra per ridurre in maniera sostanziale – se il progetto funzionasse – la condizione di povertà di un quarto della popolazione indiana.
Ma se il progetto ha dei fans, i critici non mancano. Uno dei commenti più feroci lo ha scritto il giornale indiano The Financial Express a firma Ramendra Singh. Secondo il commentatore l’Ubi sarebbe un vero disastro per il Paese: a suo avviso sono meglio i tax credit inventati dal governo britannico che non i progetti pilota della Finlandia (che sta utilizzando una sorta di Ubi su un campione di 2mila disoccupati) mentre «corruzione e cattivo orientamento dei programmi di sicurezza sociale possono falsare il mercato del lavoro». Un altro avversario è l’avvocato di Mumbai Arihant Panagariya secondo cui l'India non ha bisogno di Ubi ma di riforme. L’universal basic income – ha scritto in un commento postato su internet – potrebbe distrarre l’India dalle sue vere sfide politiche e avere inoltre un costo elevato. «Curioso pur se ancora scettico» è invece James Pethokoukis, del think tank statunitense American Enterprise Institute, mentre Forbes ha definito Ubi, tutto sommato, una «buona idea», almeno per gli indiani. L’Independent, il giornale britannico che per primo ha dato la notizia dell’indagine anticipandone i contenuti, mette comunque in guardia: «Tuttavia, se (il programma Ubi) fosse attuato, le controversie politiche potrebbero – ha scritto - "deragliare" Ubi prima ancora del suo decollo... il rapporto inoltre suggerisce che il Paese non è ancora pronto… l'indagine ha sottolineato che lo Stato indiano soffre di "alti livelli di corruzione, clientelismo, burocrazia" che potrebbero rendere difficile la vita all’Ubi».
Immagine: ATUL LOKE/The New York Times/Red