Domande e risposte

Facciamo chiarezza sull’Operazione

No, l’affermazione è falsa e in contrasto con la disciplina assicurativa, legale (art. 37- ter Testo Unico delle Assicurazioni) e regolamentare (Regolamento IVASS n. 24/2016). Generali e il suo CdA oggi definiscono le linee guida strategiche di investimento e l’asset allocation dell’intero Gruppo. Generali e tutte le società assicurative del Gruppo stabiliscono – all’interno di quelle linee guida – i termini e le condizioni dei mandati di gestione che contengono limiti di rischio e obiettivi ben definiti cui si deve attenere il gestore (come l’indicazione dei paesi, delle asset class o, ad esempio, dei titoli di stato nei quali allocare gli investimenti). L’operazione con Natixis non modificherebbe in alcun modo questo assetto che continuerebbe ad essere implementato come accade oggi. Pertanto, Generali manterrebbe in modo assolutamente IDENTICO l’attuale grado di definizione e monitoraggio degli investimenti, che non verrebbero in alcun modo trasferiti ad altri.

Generali, così come fatto da altri assicuratori, ha scelto di sviluppare internamente le competenze di asset management, al fine di diversificare l’attività e l’operatività del Gruppo lungo la catena del valore e internalizzare parte dei relativi margini. È importante notare come il progresso di Generali nell'asset management sia davvero notevole. I maggiori peer europei in Francia o Germania hanno lanciato il loro business in questo campo già 25-30 anni fa, mentre Generali solo 8 anni fa. Nonostante questo Generali, come primo assicuratore italiano, ha l’opportunità unica di controllare e guidare (congiuntamente al partner BPCE tramite Natixis IM) un leader mondiale nel settore.

No, va chiarito che la società Assicurazioni Generali non è oggetto dell’accordo, né lo sono le decisioni sugli investimenti di Generali.

L’operazione prevedrebbe la creazione di una nuova società co-controllata destinata all’attività di asset management, con una governance bilanciata e paritetica al 50/50, e senza alcun diritto speciale di governance riservato a nessuno dei due soci. Creare una joint venture paritetica è cosa ben diversa rispetto a cedere un’attività e perderne il controllo. Piuttosto, vuol dire acquisire determinanti diritti di governance e di co-controllo su un’attività di gestione di masse triple rispetto a quelle attuali, e beneficiare di un ben maggior contributo “industriale” (i.e. abilità di servire meglio i propri clienti) e finanziario (i.e. partecipare ai maggiori utili derivanti dall’attività di gestione, rispetto agli attuali).

Così, l’Italia acquisirebbe un ruolo determinante in un’industria mondiale altrimenti destinata ad essere dominata da – escludendo l’Asia - Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Il differenziale tra la competitività dell’economia leader del mondo – gli Stati Uniti – e l’Europa, risiede, come noto, in due settori: tecnologia e finanza, che sono i due settori dove avvengono oggi le maggiori innovazioni a livello globale. La capacità di innovare richiede una dimensione necessariamente ampia, al fine di avere risorse necessarie a finanziare gli investimenti.

Questa operazione creerebbe un gigante europeo, con forte matrice italiana, primo al mondo nella gestione di attivi assicurativi e nono al mondo tra gli asset manager.

Un’ulteriore controprova è legata all’elemento fiscale: non si determinerebbe alcun trasferimento di valore fuori dall’Italia e non si avrebbe, come effetto, una riduzione delle imposte assolte in Italia; è anzi probabile che l’onere fiscale italiano aumenti, quantomeno per effetto di due fattori: la creazione di un altro livello nella catena societaria in Italia con conseguente ulteriore tassazione dei dividendi e l’aumento dei dividendi previsti per effetto della creazione di valore generato dalla joint venture.

Come rappresentato in precedenza, non cambierebbero i criteri di gestione e di risk management, quindi neanche il profilo rischio/rendimento per le garanzie nei confronti degli assicurati.

No, non cambieranno i criteri di gestione e di risk management, che rimarranno sotto il controllo di Generali e il presidio delle società assicurative del Gruppo. Continueranno infatti ad essere Generali e le sue controllate a definire le linee guida strategiche di investimento e l’asset allocation dell’intero Gruppo, nonché a indicare i limiti di rischio e gli obiettivi ben definiti cui si deve attenere il gestore (come l’indicazione dei paesi, delle asset class o, ad esempio, dei titoli di stato nei quali allocare gli investimenti). Al contrario, a seconda dei bisogni dei clienti, potrebbe aumentare la quota degli attivi investibili nel nostro Paese, sia BTP, obbligazioni di società italiane o azioni, oppure Real Estate o Infrastrutture ESG: una piattaforma globale quale quella che si intende creare, permetterebbe infatti di offrire interessanti opportunità di investimento nel nostro Paese, a diversi investitori basati in Europa, America e Asia.

Come indicato in precedenza, non cambierebbero i criteri di gestione e di risk management che rimarrebbero sotto il controllo di Generali e delle società assicurative del Gruppo. Quella immobiliare è una classe di attivo che Generali conosce bene e dalla quale ha sempre avuto e continuerà ad avere rendimenti competitivi. Sono anzi previste particolari tutele a beneficio di Generali per gli immobili storici o strategici di proprietà di fondi.

No, il progetto rientra nel mandato, cioè nei poteri esclusivi, del Consiglio di Amministrazione, e Generali a seguito dell’operazione continuerebbe a esercitare l’attività prevista dal suo oggetto sociale. L’operazione, dunque, non potrebbe essere oggetto di un’assemblea straordinaria, sia in base alla legge sia in base allo Statuto. 

Il management e il Consiglio di Amministrazione hanno il dovere di agire nel best interest della società e dei suoi stakeholder per l’intera durata del loro mandato, dal primo all’ultimo giorno. Il consiglio deve decidere su un’opportunità nel momento in cui essa si presenta (considerando altresì che spesso la “finestra di opportunità” è molto ristretta). Se un consiglio e un management dovessero ignorare un’opportunità di business per il solo fatto che si profili nell’ultimo periodo del mandato, nonostante crei valore per la società che gestiscono con dovere fiduciario verso tutti i soci, ne sarebbero responsabili.

La proposta joint venture con Natixis IM è peraltro perfettamente in linea con le priorità strategiche del Gruppo in materia di asset management. Si ricorda, infine, che il 30 gennaio l’attuale management ha presentato il nuovo piano strategico triennale, esattamente come ha fatto alla fine del mandato precedente.

Natixis IM è il partner perfetto per Generali per realizzare il suo obiettivo di crescere in un settore strategico per il Gruppo. Generali ha l'opportunità oggi di diventare azionista di co-controllo di un leader mondiale nell’asset management; un’opportunità unica che, se questa operazione venisse bloccata, potrebbe rapidamente essere colta da altri assicuratori europei e questo sì che sarebbe unfair verso gli azionisti.

Accordi di lungo termine relativi all’operazione sono necessari e consueti, in quanto permettono di creare i presupposti per sviluppare e consolidare le sinergie, che sono l’essenza stessa di una Joint Venture quale sarebbe la nuova società, garantire l’adeguata stabilità a tutti gli attori coinvolti (dipendenti e clienti inclusi) e offrire alla nuova società le migliori condizioni per il suo successo.

Generali ha l’ambizione di creare e co-controllare una partnership di lungo termine e beneficiare della grande opportunità di creazione di valore individuata per il Gruppo e tutti i suoi stakeholder.

No, come in tutte le operazioni di M&A sin qui condotte, Generali si è avvalsa di numerosi advisor finanziari, legali e di comunicazione; almeno una decina. Il conferimento dell’incarico nell’interesse della controllata Generali Investments Holding a Mediobanca, primario advisor finanziario di assoluto standing e rigore, è stato peraltro vagliato dal Comitato per le Operazioni con Parti Correlate di Generali e ha seguito il percorso, le procedure e le regole previste per operazioni di questo genere. È caratteristica universalmente nota in ambito consulenziale (oltre che obbligo diffuso in tutto il mondo) che ogni advisor sia tenuto alla segregazione rigorosa delle informazioni acquisite in tale funzione e alla più totale riservatezza. Su questa premessa si regge lo sviluppo di tutta l’industria degli advisor nazionali e internazionali e tale dovere è sancito normativamente e contrattualmente.

No, perché l’accordo NON prevede la fusione tra Generali Investments Holding e Natixis, che porterebbe il socio Cathay a detenere l’8% circa del capitale della società post-fusione. L’operazione prevede invece la costituzione di una NUOVA società partecipata pariteticamente e DIRETTAMENTE dai due soci Generali Investments Holding e Natixis, senza la partecipazione di Cathay. L’asserito azionariato “in trasparenza” non esiste, come non esiste nessun squilibrio a favore dei francesi. Nella società Generali Investments Holding, le Generali – grazie alla quota detenuta largamente maggioritaria pari all’84% - posseggono TUTTI I DIRITTI DI CO-CONTROLLO senza alcuna riserva inerente alla governance della joint venture a favore di Cathay.

Come detto, Generali e il suo CdA continueranno a definire le linee guida strategiche di investimento e continueranno a decidere dove investire il risparmio nazionale italiano, come è stato fatto finora. Generali è già uno dei maggiori asset manager italiani, ed essendo un grande Gruppo internazionale, la crescita dell’Italia in questo settore non avviene attraverso la fusione tra realtà nazionali relativamente piccole, ma attraverso l’aggregazione con realtà internazionali di maggiori dimensioni. Nel settore dell’asset management solo la dimensione consente di rimanere competitivi, sostenere i costi necessari a sviluppare l’attività, acquisire nuovi clienti, attrarre talenti e investimenti. Gli asset manager di piccole dimensioni sono destinati ad avere un ruolo locale o a essere acquisiti da altri. L’opportunità di creare il primo asset manager AL MONDO per gestione di attivi assicurativi e il NONO al mondo è per l’Italia una straordinaria opportunità di leadership a livello globale difficilmente raggiungibile in altri settori. Una joint venture con un asset manager italiano di medie dimensioni porterebbe oggi pochi benefici per Generali e per i suoi stakeholder e non incrementerebbe l'influenza italiana nel mondo.

Si consideri che Natixis stessa detiene una fetta considerevole del risparmio nazionale francese, gestendo masse assicurative francesi superiori ai 300 miliardi di euro portate in dote dalla stessa BPCE e da altri leader di settore quali CNP.

No, perché Unicredit ha ceduto il 100% di Pioneer contro un prezzo, mentre Generali combinerebbe la propria piattaforma di asset management facente capo a Generali Investments con quella di Natixis IM, mantenendo il co-controllo. Va inoltre sottolineato che Unicredit non aveva rilevanti attivi (di sua proprietà) gestiti da Pioneer; quindi, non aveva il controllo (né era in condizione di porre vincoli) sugli investimenti compiuti da quest’ultima. La banca agiva sostanzialmente come distributore dei prodotti di Pioneer che venivano e vengono venduti presso i suoi sportelli. Generali ha e conserva in sua proprietà gli attivi gestiti e anche la gestione sottostà alle regole impartite dal Gruppo.

Generali potrà esercitare tutti i diritti di co-controllo e avrà anche il diritto di ricevere le informazioni necessarie per adempiere a tutti i propri obblighi legali e regolamentari e provvedere altresì alla corretta identificazione e gestione dei rischi; procedendo, in ogni caso, alla costante verifica della conformità della gestione affidata agli asset manager con i mandati di gestione sottoscritti.