Generali Investments Holding e Natixis Investments Managers: dettagli sull'Operazione
L’operazione Generali – Natixis e i benefici per clienti, azionisti, dipendenti e sistema Paese
L’industria del risparmio gestito attraversa una fase di rapido consolidamento in risposta alle crescenti sfide del settore.
I gestori sono spinti a riconsiderare la propria massa critica e perseguire strategie di consolidamento e di crescita inorganica, al fine ultimo di beneficiare di sinergie di scala e di scopo. Molteplici e note sono le operazioni di M&A nel settore, alcune in ambito assicurativo, che testimoniano questa tendenza in atto.
L’Italia e l’Europa scontano oggi, nel settore dell’asset management, un gap molto forte rispetto agli Stati Uniti. Sono statunitensi, infatti, le cinque società più grandi al mondo per patrimonio gestito, e ben quattordici tra le prime 201. Soltanto attraverso una crescita dimensionale rilevante è possibile acquisire la forza per finanziare investimenti e innovazione, colmando questo gap.
In questo contesto, il 21 gennaio 2025 Generali ha annunciato la firma di un memorandum d’intesa per la creazione di una joint venture controllata pariteticamente con BPCE, secondo gruppo bancario francese e quarto nella zona euro.
La nuova società metterebbe assieme le attività di asset management facenti capo, rispettivamente, a Generali Investments Holding e a Natixis IM, portando alla creazione di un operatore globale da €1.900 miliardi di masse gestite, al nono posto a livello mondiale e leader nell’asset management in Europa con €4,1 miliardi di ricavi.
La società risultante dall’aggregazione sarebbe controllata in modo condiviso dalle due istituzioni finanziarie – ciascuna con una quota del 50% – operando con una struttura di governance congiunta e secondo criteri paritetici di rappresentanza e controllo.
Generali Investments Holding apporterebbe oltre €0,6 trilioni in asset, mentre il contributo di BPCE, tramite Natixis IM, sarebbe di €1,3 trilioni. Si tratterebbe, pertanto, della nascita del leader europeo cross-border nel campo della gestione del risparmio, con presenza significativa negli USA e un potenziale di crescita in Asia, a guida congiunta italiana attraverso Generali, e francese attraverso BPCE.
La società rappresenterebbe anche il primo operatore al mondo nella gestione di asset per la clientela assicurativa, con l’obiettivo di sviluppare la piattaforma come leader globale ed espandere ulteriormente questo segmento in crescita.
La joint venture sarebbe contraddistinta oltre che da un razionale strategico molto chiaro, anche da un forte allineamento culturale tra i due soci.
Generali e BPCE condividono infatti approcci operativi molto simili per quanto riguarda l’asset management, un business che entrambi i gruppi hanno sviluppato attraverso piattaforme multi-affiliate. La nuova società sarebbe ben posizionata per realizzare una significativa creazione di valore e importanti sinergie per favorire la crescita e incrementare i ricavi della piattaforma, riducendo al tempo stesso l’impatto dei costi di gestione e migliorando i margini operativi. Essa consentirebbe, dunque, un’integrazione agevole e di successo delle rispettive attività.
Infatti, la joint venture porterebbe alla nascita di un leader mondiale nell’asset management, con una presenza globale incentrata sull’Europa (circa 61% degli attivi in gestione) e sul Nord America (circa il 34%), e un notevole potenziale di crescita in Asia e in altri mercati (circa il 5%).
L’Italia rappresenterebbe uno dei due mercati domestici europei, insieme alla Francia. In Europa, la nuova joint venture avrà due principali sedi operative e di gestione situate in Italia e in Francia, oltre che negli Stati Uniti, come avviene oggi. La struttura attuale in Italia sarà pertanto mantenuta.
La nuova realtà vanterebbe competenze di gestione molto forti in un vasto insieme di classi di attivi, dalle più tradizionali e liquide, a quelle alternative e più innovative in corso di sviluppo e con grandi ambizioni di crescita. Il reddito fisso rappresenterebbe indicativamente il 65% degli attivi in gestione, l’azionario circa il 21%, mentre il restante 14% sarebbe rappresentato da un insieme di selezionati mercati privati e altri tipi di investimento2.
Questa esposizione a strategie di investimento così ampie e diversificate, supportata da una capacità di distribuzione globale e capillare, permetterebbe quindi di rispondere al meglio a tutte le esigenze di una clientela diversificata, offrendo soluzioni innovative e complementari.
La joint venture sarebbe inoltre posizionata al meglio per espandere ulteriormente l’attività per clienti terzi, anche grazie all’impegno di Generali ad apportare, nel corso dei primi cinque anni, un totale di €15 miliardi di capitale di avviamento, cosiddetto Seed money, per l’avvio di nuove iniziative e strategie di investimento nel settore degli investimenti alternativi (e in particolare nei private markets).
Il Seed money, per chiarezza, consiste nella sottoscrizione di fondi e mandati d’investimento, regolamentati e coerenti con l’asset allocation definita autonomamente da Generali, e non in capitale di rischio per finanziare le società operative di asset management.
Si tratta di investimenti fatti nel novero delle scelte di allocazione delle masse assicurative gestite dal gruppo – che contano a oggi un totale superiore ai € 460 miliardi – per conto dei propri clienti e sempre nel loro miglior interesse, con la dovuta e attenta valutazione del profilo di costi di gestioni e ritorni attesi a fronte del rischio assunto.
L’obiettivo è perseguire – sempre nel rispetto delle linee guida strategiche di investimento e dell'asset allocation definiti autonomamente da Generali – opportunità di crescita in nuovi segmenti e favorire un ulteriore ampliamento delle competenze e dell’offerta dei prodotti in essere, al fine di soddisfare al meglio le richieste di investimento sempre più sofisticate della clientela.
Non si tratta di una novità per Generali: già oggi il Gruppo ha una politica di seeding che prevede l’investimento del proprio attivo di bilancio rappresentato dai portafogli assicurativi per il lancio di nuove strategie ritenute meritevoli e coerenti con gli obiettivi di allocazione dei portafogli assicurativi del Gruppo. A oggi, il Seed money di Generali ammonta a circa €20 miliardi, e ne sono già previsti circa €5 miliardi nel 2025 a prescindere dalla operazione con Natixis IM.
Ogni anno i portafogli assicurativi di Generali generano circa €25 miliardi di flussi di cassa tra rimborsi di titoli in scadenza, cedole e dividendi che vengono reinvestiti nelle diverse classi di attivo. In aggiunta, Generali ha un target triennale (da piano 2025-2027) di raccolta netta sui prodotti assicurativi vita pari a € 25–30 miliardi. È quindi evidente che l’impegno di €15 miliardi cumulati su 5 anni rappresenti una quota minoritaria sia delle masse complessive gestite che dei flussi di reinvestimenti annui di Generali.
La combinazione con Natixis IM permetterebbe dunque al gruppo di perseguire al meglio la propria strategia e di allocare il proprio attivo di bilancio in modo più efficiente, potendo disporre di un ventaglio più ampio di gestori e una migliore copertura delle varie classi di attivo/prodotto.
L’operazione nasce da una chiara logica di natura industriale e strategica, fondata sulla complementarità delle due realtà oggetto di combinazione, e offre un’interessante opportunità di creazione di valore per il gruppo Generali, stimata in oltre €1 miliardo. Tale stima riflette il valore attuale del beneficio economico atteso derivante dal Seed money e delle sinergie attese dall’operazione, al netto dei costi di integrazione e delle maggiori tasse. In particolare, sono state identificate sinergie di ricavi ed efficienze operative per un totale annuo (a regime3) pari a €210 milioni prima delle imposte, derivanti dal maggiore potenziale di crescita e di cross-selling, in aggiunta alle iniziative di risparmio di costo (soprattutto a livello centrale) che, grazie agli evidenti benefici di scala, offrirebbero ampi margini di efficientamento in aree quali procurement, IT e gestione dei dati. Questa stima di €210 milioni di sinergie, peraltro, non include il contributo atteso derivante dal futuro impiego di Seed money che – grazie al lancio di nuovi prodotti ad alto potenziale – potrebbe contribuire allo sviluppo della base clienti e a un ulteriore incremento dei ricavi stimati.
La definizione di utile netto rettificato di Gruppo esclude, fra gli altri, gli impatti legati all’ammortamento degli intangibili relativi al valore dei clienti, così come gli utili e le perdite derivanti da operazioni di M&A.
L’utile netto rettificato pro forma di Generali Investment Holding4 al 2023 era pari a €0,3 miliardi.
L’accordo annunciato il 21 gennaio si tradurrebbe, una volta finalizzato, in un profitto netto di realizzo a favore del Gruppo Generali stimato nell’ordine di €1 miliardo *(in accordo allo IAS 28), che sarebbe comunque neutrale ai fini dell’utile netto rettificato di Gruppo.
Fatta questa premessa, l’operazione annunciata il 21 gennaio si tradurrebbe in un impatto nei primi due anni, includendo gli oneri di integrazione, fra €25 milioni e €50 milioni, prima dell’effetto del dividendo preferenziale. Tale dividendo preferenziale a favore di BPCE porterebbe l’impatto complessivo della transazione al netto delle imposte fra -€25 milioni e €0 milioni. Dopo la fine dell’effetto del dividendo preferenziale, quindi a partire dal 2028, l’utile netto rettificato è atteso esser superiore a €50 milioni, anche tenendo conto degli oneri di integrazione. Una volta esaurito l’impatto di tali oneri e una volta che le sinergie attese andranno a regime, l’impatto della transazione sull’utile netto rettificato è atteso esser superiore ad €125 milioni annui a partire dall’anno 2030.
Per quanto concerne il profilo di cassa, negli anni di piano 2025-2027, l’impatto netto sulle rimesse dalle controllate del Gruppo Generali è stimato in un ammontare cumulativo negativo per circa €100 milioni, principalmente a causa di oneri di integrazione (CTA) e oneri accessori; mentre l’impatto sulla cassa beneficia anche di un effetto positivo cumulativo di oltre €100 milioni proveniente dal rimborso di un prestito di circa € 230 milioni previsto dalla Capogruppo a Generali Investments Holding per finanziare l’acquisizione di MGG annunciata in data 17 gennaio 2025 e il cui rimborso farebbe carico alla nuova società detenuta da Generali Investments Holding al 50%. A regime, l’impatto positivo futuro stimato sulla cassa per Generali sarà in linea con l’impatto atteso sull’utile, una volta realizzate tutte le sinergie.
L’obiettivo di Generali, condiviso da BPCE, è chiaro costruire una solida partnership di lungo termine, coerente con la sua visione strategica, approfittando di una opportunità unica di creazione di valore per il gruppo e tutti i suoi stakeholder. In linea con questo, e per garantire stabilità e continuità al progetto, Generali e BPCE sottoscriverebbero un accordo di 15 anni che regola i termini e le condizioni della gestione da parte delle società facenti capo alla nuova entità di proprie masse, pretendendo una sostanziale continuità dei termini contrattuali delle deleghe di gestione ad oggi in essere, e che dunque non comporterebbe – per il gruppo Generali – cambiamenti quanto ai flussi commissionali pagati.
Sono previste clausole di salvaguardia a favore di entrambe le parti e gli impegni rimangono comunque subordinati al rispetto della normativa vigente, all’autonomia di Generali e delle compagnie assicurative nelle proprie scelte di asset allocation e alla salvaguardia del migliore interesse dei propri clienti. È previsto inoltre che Cathay, già legato da un accordo di gestione di lungo termine con Generali Investments Holding, rinnovi il suo mandato a favore della nuova entità.
La gestione degli attivi apportati da Generali: come funziona il governo degli investimenti
Premesso che, a oggi, le masse in gestioni afferenti alle compagnie e clientela italiana del Gruppo Generali rappresentano circa il 30% delle masse totali gestite da Generali Investments Holding, la nascita della joint venture non avrebbe alcuna ripercussione sulla continuità delle politiche di gestione del risparmio affidato dagli Italiani alle compagnie del Gruppo, che rimangono proprietarie degli attivi e ne decidono l’allocazione tra le diverse strategie di investimento.
Gli attivi sarebbero infatti soggetti a tutti i rigorosi presidi previsti dalla disciplina legislativa e regolamentare vigenti a livello nazionale ed europeo in materia prudenziale, all’interno di limiti di rischio puntuali e stringenti.
Ciascuno dei due soci manterrà il potere decisionale pieno ed esclusivo sui propri attivi assegnati in gestione alla joint venture. Ciò significa che Generali e il suo CdA – proprio come avviene oggi – continueranno a definire le linee guida strategiche di investimento e l’asset allocation per l’intero Gruppo.
- La procedura di definizione degli investimenti adottata dal Gruppo Generali prevede infatti che siano la capogruppo e il suo CdA a definire le linee guida strategiche di investimento dell’intero Gruppo (mentre le singole compagnie assicurative con i rispettivi CdA definiscono la propria strategia coerentemente con quella complessiva del Gruppo), inclusa l’assegnazione dei mandati di gestione che contengono limiti di rischio e obiettivi ben definiti cui si deve attenere il gestore, come l’indicazione dei paesi, delle classi di attivi o, ad esempio, dei titoli di stato nei quali allocare gli investimenti. A titolo esemplificativo, è la compagnia di assicurazione a decidere quale è l’allocazione voluta in Titoli di Stato e la rispettiva quota da ripartire tra i vari paesi, dandone specifica indicazione alla società di gestione che rimane vincolata a questa scelta. Alla luce di ciò, l’operazione con BPCE non avrà alcun impatto sulla allocazione quanto ai BTP del Gruppo Generali;
- è il Chief Investment Officer (CIO) del Gruppo Generali che propone al CdA di Assicurazioni Generali la c.d. strategic asset allocation e, una volta approvata, le dà attuazione e assicura un continuo monitoraggio dell’operato dei gestori. Il processo è speculare a livello di singola compagnia assicurativa del Gruppo Generali, il cui CIO ha una linea di riporto diretta verso il CIO di Gruppo;
- i gestori delegati, cioè le società di asset management, implementano la strategia d’investimento così definita mediante l’individuazione dei singoli titoli conseguente alla strategia stessa, la produzione di ricerche in materia di investimenti e allocazione tattica, l’esecuzione degli ordini sul mercato, etc. Si tratta dunque di società fornitrici di un servizio a favore delle imprese assicurative del Gruppo che operano all’interno di limiti e obiettivi stringenti stabiliti dalla capogruppo e dalle compagnie per quanto concerne l’allocazione degli investimenti;
- i contratti di gestione di portafoglio individuale o IMA (“Investment Management Agreement”) sottoscritti fra le società di assicurazione e gli asset managers vincolano il gestore a conformarsi alla disciplina applicabile per la gestione di portafogli assicurativi oltre che a specifiche strategie di investimento e linee di gestione indicate dalle compagnie, che possono comunque recedere in qualunque momento. Le società di asset management sono dunque tenute a eseguire gli investimenti nel rispetto degli obiettivi (e specularmente dei vincoli) definiti dalle compagnie assicurative. Tali mandati consentono alle compagnie di impartire istruzioni su specifiche classi e operazioni, restringendo il campo di azione ed evitando esposizioni a specifiche fonti di rischio;
- tutto ciò non cambierebbe con l’operazione che prevede, inoltre, specifiche tutele per i beni immobili storici o strategici in gestione ricompresi in fondi.
Con la nuova joint venture il controllo del risparmio italiano affidato a Generali verrebbe ulteriormente rafforzato, perché Generali con questa operazione deterrebbe il co-controllo di un Gruppo di asset management di primario standing a livello globale.
Questo consentirebbe di ridurre sostanzialmente l’affidamento a società di gestione terze – estere per la quasi totalità – la gestione operativa degli investimenti.
L’impatto dell’accordo sul livello di contribuzione fiscale di Generali in Italia
Anche sotto il profilo fiscale non si determinerebbe alcun trasferimento di valore fuori dall’Italia e non si avrebbe, come effetto, una riduzione delle imposte assolte in Italia.
È anzi plausibile che l’onere fiscale italiano aumenti, quantomeno per effetto di due fattori:
- la creazione di un altro livello nella catena societaria in Italia, con conseguente ulteriore tassazione dei dividendi;
- l’aumento dei dividendi previsti per Generali per effetto della creazione di valore generato dalla joint venture.
La sottoscrizione del memorandum of understanding e la procedura di informazione e consultazione degli organi di rappresentanza dei dipendenti
Al fine di rispettare l’obbligo di consultare preventivamente gli organi che rappresentano i lavoratori in relazione ad iniziative che possano comportare modifiche nell’organizzazione economica o giuridica della società coinvolta (cessioni, trasferimenti di rami, ecc.), nel caso di operazioni che interessino (anche) il mercato francese si è sviluppata una prassi che consiste nella sottoscrizione di un documento preliminare, generalmente un memorandum d’intesa (“MoU”), mediante il quale le parti coinvolte in una operazione dichiarano che le loro trattative sono sufficientemente avanzate per avviare la/le procedura/e di consultazione applicabili, per poi procedere alla conclusione dei contratti definitivi una volta completata detta procedura.
Entrambi i gruppi coinvolti nella prospettata joint venture dispongono di organi di rappresentanza dei dipendenti in Francia (nonché in altri paesi), e sono pertanto tenuti a svolgere procedure di consultazione prima di assumere impegni vincolanti definitivi circa l’operazione in oggetto.
A seguito della firma dell’MoU, ciascun gruppo (Generali da un lato, BPCE dall’altro) provvederà a svolgere le proprie procedure di consultazione e, una volta che le medesime saranno concluse, dovrà informarne la controparte e indicare se intende procedere o meno con la sottoscrizione degli accordi definitivi (la “Comunicazione di Conferma”). Qualora un gruppo invii una Comunicazione di Conferma, indicando la propria decisione di non proseguire con l’operazione, oppure non invii detta Comunicazione di Conferma, l’MoU si intenderà risolto automaticamente senza nessun obbligo a carico di entrambi i gruppi di eseguire l’operazione (fatta salva l’applicazione della break-up fee). È a esito della trasmissione delle Comunicazioni di Conferma da parte di entrambi i gruppi, contenente l’intento a proseguire l’operazione, che le parti provvedono a sottoscrivere gli accordi definitivi.
L’MoU contiene altresì una c.d. “material adverse effect clause”, ai sensi della quale la sottoscrizione dei contratti definitivi è condizionata al mancato verificarsi di eventi negativi rilevanti: trattasi di eventi che (i) possano ragionevolmente compromettere in modo rilevante la capacità delle parti di completare l’operazione ipotizzata nei tempi concordati; o che (ii) abbiano o possano avere, un effetto negativo sostanziale sull’utile netto, sulle masse in gestione o sulle passività dell’insieme delle società oggetto di conferimento in favore della nuova entità.
Dunque, ancorché l’MoU non vincoli le parti all’esecuzione dell’operazione, sono previsti:
- un impegno a iniziare e svolgere le procedure di consultazione degli organi di rappresentanza dei dipendenti applicabili e allo stesso tempo discutere, completare e finalizzare la documentazione dell’operazione (sulla base dei testi allegati all’MoU), nonché svolgere alcune limitate attività di due diligence confirmatoria e analisi;
- una clausola di esclusiva per tutta la durata dell’MoU e fino a 9 mesi dopo l’eventuale venir meno dello stesso;
- una clausola relativa al pagamento di una break-up fee (anche a ristoro di costi sostenuti per l'organizzazione e la negoziazione dell'operazione), di importo pari ad €50 milioni, applicabile qualora 1) una parte non abbia intrapreso le proprie procedure di consultazione dopo la firma dell’MoU oppure le procedure non siano state eseguite con successo prima del 31 luglio 2025, 2) la parte interessata non abbia confermato la propria intenzione di procedere con l’operazione ipotizzata ad esito del completamento delle proprie procedure di consultazione, ovvero 3) le azioni intraprese o le omissioni di una parte abbiano portato al verificarsi di un material adverse effect.
Flussi informativi e diritto di informazione dei futuri soci della joint venture
Il risk and compliance framework della joint venture (e delle controllate) è destinato a essere definito in modo tale da fare sì che, oltre a rispondere a tutti i requisiti legali e normativi applicabili alla joint venture, si qualifichi quale “best in class” in termini di solidità e competitività sulla base dei più elevati standard applicabili nel settore dell’asset management.
Quanto all’informativa, sarà garantito al Gruppo Generali e al Gruppo Natixis un flusso di informazioni tale da consentire a ciascuno di essi di adempiere a tutti gli obblighi normativi e regolamentari ed assicurare una corretta gestione dei rischi.
Si specifica peraltro che il perimetro oggetto della transazione non include la partecipazione ad oggi detenuta da Natixis IM in H2O Asset Management, e dunque la joint venture non sarebbe esposta ad alcun rischio pregresso e/o futuro a essa connessa.
La governance della NewCo
Il Consiglio di Amministrazione della nuova entità sarebbe composto da un egual numero di consiglieri designati da Generali Investments Holding5 e Natixis IM (cioè, 6 membri designati da ciascuno socio), integrati da tre consiglieri indipendenti individuati congiuntamente dalle stesse Generali Investments Holding e Natixis IM, oltre che dal CEO della joint venture.
La nuova entità verrebbe costituita ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, come soluzione neutrale tra i due soci basati in Paesi diversi.
Italia, Francia e Stati Uniti rimarrebbero gli hub operativi della nuova società, dai quali si continuerebbe a gestire direttamente le attività di business.
Come anticipato sopra, questa struttura organizzativa non comporterebbe alcuna conseguenza negativa sui livelli occupazionali in Italia.
In riferimento ai ruoli apicali della società, va evidenziato che il CEO (con ampi poteri di gestione) a capo della nuova entità al momento della sua costituzione sarebbe l’attuale CEO di Generali Investments Holding, nominato per un periodo di 5 anni e automaticamente rinnovato per un ulteriore periodo di 5 anni in caso di raggiungimento di risultati in linea con il piano industriale della società. Generali Investments Holding esprimerebbe altresì il Vicepresidente, mentre Deputy CEO e Presidente sarebbero appannaggio di Natixis IM, sempre per i primi 5 anni dal momento della costituzione della joint venture (e per ulteriori 5 anni in caso di rinnovo del mandato del primo CEO).
Decorso un certo periodo di tempo, troverebbero applicazione usuali meccanismi di exit volti a consentire e regolare l’eventuale uscita dalla joint venture. Fermo quanto precede, non è intenzione di Generali – né esistono previsioni contrattuali che possano costringere la medesima a – ridurre la propria partecipazione o i propri diritti di governance nella joint venture.
1 Fonte: WTW, dati a fine 2023.
2 Percentuali basate su stime gestionali.
3 Da raggiungersi nell’arco di un quinquennio.
4 Dati pro forma che riflettono il perimetro dell’operazione proposta e includono Conning e le sue controllate ed escludono MGG e le sue controllate, prima dell’operazione in oggetto.
5 Cathay non dispone di un diritto di designazione di consiglieri della nuova entità.