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Il popolo indonesiano scommette su un nuovo modello di welfare

Il popolo indonesiano scommette su un nuovo modello di welfare

Il governo indonesiano sta definitivamente abbandonando l’epoca dei sussidi agli idrocarburi. Un risparmio che dovrebbe tradursi in un nuovo welfare per tutti. Fino ai piccoli pescatori delle Molucche.

 

Il popolo indonesiano scommette su un nuovo modello di welfare

Sino a non molti anni fa la vita di un agricoltore di Giava era drammaticamente legata al filo stagionale. Poca pioggia portava siccità; troppa trasformava  i campi in una palude. Per una famiglia di pescatori della Molucche, 4mila chilometri a Est di Giava e della sua capitale Giacarta, le cose non andavano molto meglio. Pochi pesci, poco guadagno ma, paradossalmente, tanti pesci non sortivano un effetto migliore: «Se la pesca va troppo bene è solo una fatica inutile anche se nei nostri mari, in certi mesi dell’anno, una caratteristica specie di aguglia è così numerosa che basta calare la rete e si imbarcano chili di pesce: senza un frigorifero però – racconta Cosmas,  pescatore del piccolo arcipelago orientale delle Kai - il pesce va a male ed è inutile averlo pescato». Le difficoltà - legate alla povertà di mezzi, tecnologia o finanziamenti per pesca e agricoltura - non erano l'unico cruccio.  Dai villaggi era spesso necessario raggiungere l’unico ospedale facendo decine di chilometri e per scoprire che – dopo attese di ore – oltre alla diagnosi c’era anche il conto per le medicine. Spesso troppo salato.

L’unico beneficio che il governo riservava agli oltre 200 milioni di indonesiani, molti dei quali vivevano - e in parte ancora vivono - con un reddito bassissimo, erano i sussidi per contenere i prezzi  di alcuni prodotti: il riso, ad esempio, ma soprattutto la benzina. Una politica andata avanti per decenni e sostenuta da qualche progetto mirato a certe categorie di cittadini per un certo numero di anni. Troppo poco e con scarsi risultati. Anche perché – come spiega uno studio sulle politiche del welfare indonesiano curato dall’International Institute for Sustainable Development – i sussidi fossili non risolvono tutti i problemi della logistica: se le strade sono assenti o con pessima manutenzione – per fare un esempio - il sussidio vanifica il suo scopo. Negli ultimi anni le cose però sono cambiate. E mentre dal 2009 la legislazione ha cominciato a incorporare leggi più efficaci nel campo della protezione sociale, i governi indonesiani hanno iniziato ad abbandonare, seppur lentamente, le politiche dei sussidi e quelle dei progetti mirati che, sul lungo periodo, non mostravano risultati efficaci.

La svolta decisiva è però degli ultimi due anni. Presto per valutarne l’efficacia e presto per misurare l’efficienza con cui Giacarta la sta mettendo in opera. Ma è una vera piccola rivoluzione che, secondo qualcuno dei più entusiasti, ne fa l’operazione numericamente più spettacolare nella storia del welfare dei Paesi in transizione dalla povertà a una nuova stagione di sviluppo.

Se si vuol prendere una data, si può scegliere il 3 novembre 2014 quando il presidente Joko Widodo (all’epoca appena eletto) ha lanciato il più ambizioso piano di welfare del Paese. Si basa essenzialmente su tre programmi nazionali: Carta della famiglia (PSKS), Indonesia Smart Card (KIP) e Carta della salute (KIS). Il piano di Joko Widodo – chiamato famigliarmente  Jokowi – ha avuto persino il plauso dell’Economist, l’autorevole rivista economica che ha persino ironizzato sulla capacità di Jokowi di bruciare le tappe: «Barack Obama – ha scritto il magazine britannico - ci ha messo 472 giorni per trasformare in legge il suo programma di health-care. Joko Widodo ha impiegato solo due settimane per onorare le sue promesse (elettorali) in tema di sanità e istruzione».

In cosa consistono? Lo schema fornisce assicurazione sanitaria gratuita ai poveri indonesiani e la  garanzia di 12 anni di istruzione gratuita oltre al sostegno agli studenti ammessi all'università. Provvede inoltre a trasferimenti di denaro alle famiglie più bisognose della popolazione. Il presidente ha basato la sua azione innovatrice trasformando il risparmio sul budget dovuto al graduale taglio dei sussidi su benzina e diesel (di cui una piccola quota sopravvive) sia in denaro da riconvertire in assistenza, sia in investimenti infrastrutturali in grado di attrarre investimenti. La scommessa sta anche nella possibilità che il tasso di crescita cresca raggiungendo almeno il 7%, ma intanto ha garantito un’assistenza mai vista prima a oltre 86 milioni di indonesiani ossia un terzo della popolazione dell’arcipelago delle 13mila isole.

I critici sostengono che in questo modo non ha fatto che appesantire la macchina statale rendendola più invasiva. La pensa così ad esempio Jhon Riady, docente di legge e rettore universitario indonesiano, secondo cui l’eccessiva presenza dello Stato favorisce la corruzione e rischia di essere inefficiente sul piano delle regole di mercato. I suoi sostenitori al contrario, sono dell’opinione che in questo modo si riducano gli squilibri di un modello che prima assisteva soprattutto la burocrazia statale e i più garantiti in un Paese dove il lavoro informale è ancora largamente diffuso. Quanto alla presenza dello Stato nella vita dei suoi cittadini, il ministro  della Sanità  Nila Moeloek ha spiegato che gli sforzi del pubblico in questo settore andranno sostenuti da iniziative sanitarie  individuali, ossia da forme private di investimento sulla propria salute. La soluzione di Jokowi del resto non è nata ieri: quando era governatore della capitale aveva già introdotto la Carta sanitaria di Giacarta (KJS), che garantiva accesso gratuito ai servizi sanitari e la Jakarta Smart Card (KJP), con la quale gli studenti bisognosi ricevevano un sussidio per pagare le tasse scolastiche.

La scommessa per ora è tutta da verificare e, in un Paese dove quasi 30 milioni di persone vivono ancora sotto la soglia di povertà, la strada è in salita.