Buon compleanno modello nordico
Analisi del modello di welfare dei Paesi scandinavi
Da oltre mezzo secolo i Paesi scandinavi hanno messo a punto un sistema di welfare che è ancora al centro del dibattito. Ma è ancora un buon esempio? La discussione è aperta.
Il welfare è quel complesso di politiche pubbliche che – in un’economia di mercato – garantiscono l’assistenza e il benessere ai cittadini regolamentando la distribuzione dei redditi. Uno dei più noti e discussi modelli è quello “nordico”, forse il più attento alla salute dei suoi cittadini. Quanti anni compie? Difficile dirlo perché i primi sistemi di welfare nascono in Europa addirittura tra il 500 e il 600 (le Poor Laws di Elisabetta I d’Inghilterra) ma cominciano a diffondersi alla fine del XIX secolo: tra il 1880 e la fine della Seconda guerra mondiale, vengono creati i moderni sistemi di welfare in quasi tutti i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ma, nel 1880, solo in Norvegia la quota di trasferimenti sociali superava l’1% del Pil.
Quel che è certo è che “modello scandinavo” o “modello nordico”, sono termini che entrano nel vocabolario internazionale dopo la Seconda Guerra mondiale. Possiamo ben dire, per difetto, che è un modello che compie oltre mezzo secolo anche se le sue origini sono molto più lontane, come spiega il filologo polacco Kazimierz Musial che ha studiato il percorso che ha portato il “modello nordico” a diventare un riferimento culturale: “E’ stato nel periodo dopo la Seconda guerra mondiale che viene coniato il termine modello scandinavo... concetto e denominazione elaborate e applicate da storici e politologi per descrivere i sistemi sociali e politici in Scandinavia. Con il tempo ha anche attirato politici e giornalisti che ne hanno diffuso un largo uso. Il termine modello scandinavo era l'incarnazione della convinzione che da qualche parte in Europa, nella sua parte settentrionale, c’erano Paesi progressisti e moderni che potevano costituire un esempio da seguire…”.
Le politiche sociali nordiche cominciano, anche se in forme diverse, negli anni Trenta – quasi un secolo fa – e, cosa piuttosto singolare, spesso con riforme che oggi definiremmo bipartisan: in Norvegia, ad esempio, sono i socialdemocratici a introdurre una legge nel 1938 che prevede una forma assicurativa obbligatoria cui devono contribuire imprenditori, lavoratori e settore pubblico. Ma l’idea era stata a lungo promossa... dai liberali. E’ dopo la guerra però che le cose cambiano radicalmente e che il modello comincia a uscire dai confini del Nord. E non sembra troppo invecchiato. Definirlo non è semplice: lo facciamo fare a due studiosi non europei, Razi Iqbala e Padma Todia, che nel 2015 hanno scritto che questo modello “... è al tempo unico e simile sia il capitalismo sia al socialismo, nel senso che deriva le sue caratteristiche da entrambi i modelli, ma è molto diverso da loro. Noi lo definiremo un modello “terzo” nel quale il suo sistema politico viene definito come socialdemocrazia e la struttura economica viene definita come welfare del libero mercato». E’ la famosa “terza via” cui fanno accenno molti ricercatori e studiosi.
Se non stupisce che tre autorevoli ricercatori scandinavi (Alestato, Kuhnle, Hort) sostengano che il modello è universale tanto che «Nordic model of welfare may today be exportable to other parts of the world, culturally close or distant», le critiche non mancano. Nel giugno del 2015, commentando le elezioni danesi e la perdita di consensi della socialdemocrazia nordica a favore dei nuovi populismi, Nima Sanandaji, autore di Scandinavian Unexceptionalism (Institute of Economic Affairs, 2015) scrive che “Il modello nordico è stato a lungo ammirato all'estero. Si è visto come un modo di combinare la crescita economica con esiti sociali ammirevoli. Ma la semplice idealizzazione è fuorviante. Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia non si distinguono solo per le politiche socialdemocratiche, ma anche per una cultura unica costruita sulla fiducia, un’etica del lavoro luterana e una forte enfasi sulla responsabilità personale. Queste caratteristiche culturali, in combinazione con stili di vita sani, ha permesso alle nazioni nordiche di sviluppare elevati standard di vita, l'uguaglianza di reddito e una lunga durata della vita durante la prima metà del XX secolo. Il successo è dovuto anche a un periodo in cui le politiche sono state basate su tasse basse e libero mercato”. Un’eccezionalità che però, secondo Sanandaji, non mette al riparo quando si presentano problemi pressanti come l'immigrazione: “I politici nordici che desiderano attirare gli elettori dalla destra anti-immigrazione possono imparare molto dalle elezioni danese. Il problema principale – conclude – non è semplicemente un’insoddisfazione per le politiche di immigrazione, ma anche la necessità di un nuovo contratto sociale-statale... gli elettori vogliono un nuovo modello che li rafforzi. Ne hanno avuto abbastanza del modello di welfare tradizionale”.
Molti critici del sistema sostengono che regge proprio grazie al grado di sviluppo dei Paesi nordici. Ma Iqbal e Todia credono che non sia così: “Il modello nordico ha dimostrato in passato che è in grado di funzionare in sé…. Durante la recessione del 2008, ci si aspettava che i Paesi nordici avrebbero vacillato a causa delle loro politiche di welfare, ma avvenne in realtà l’opposto. Anche se i Paesi nordici non sono stati immuni alla crisi economica, hanno resistito alla recessione abbastanza bene e si sono ripresi più rapidamente di qualsiasi altro Paese europeo... Questo dimostra la capacità del modello di affrontare i problemi e trovare le soluzioni”.
Punti di vista. Non di meno nel febbraio del 2013, in piena crisi economica, un giornale che è difficile accusare di simpatie senza solide basi – l’Economist – scriveva che “Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia stanno facendo piuttosto bene. Se oggi si dovesse rinascere facendo una media tra talenti e reddito, converrebbe essere un vichingo. I Nordici sono in cima delle classifiche di tutto, dalla competitività economica alla salute sociale, alla felicità. Hanno evitato sia la sclerosi economica del Sud dell'Europa sia la disuguaglianza estrema dell'America. E i teorici dello sviluppo hanno preso a chiamare la modernizzazione di successo “getting to Denmark”...”.
Il modello resiste e continua a essere un argomento di dibattito che ha bypassato il tradizionale scontro destra/sinistra e che è orientato a capire i meccanismi che lo hanno fatto funzionare, se siano sostenibili sul lungo periodo e se sono esportabili. Intanto si festeggia il compleanno. Con un discreto numero di candeline.