L’ascesa dei robot
Intervista a Martin Ford
Martin Ford è un famoso esperto di tecnologia e futuro, con oltre 25 anni di esperienza nel settore del computer design e dello sviluppo dei software, autore del bestseller “Rise of the Robots: Technology and the Threat of a Jobless Future” (edito in Italia con il titolo “Il futuro senza lavoro”, il Saggiatore), vincitore del Financial Times and McKinsey Business Book of the Year Award del 2015.
Due anni fa lei ha scritto un importante e famoso libro dal titolo “Rise of the Robots”. Quali saranno i benefici pratici che deriveranno dall’Intelligenza Artificiale (AI) e in quali settori?
Dall’AI arriveranno enormi benefici pratici. Le auto che si guidano da sole saranno più sicure e in grado di salvare molte vite umane. La robotica può rendere qualsiasi cosa molto più efficiente e conveniente, quasi tutto è destinato a essere trasformato dai robot. Per esempio l’AI può essere usata dai medici per fare diagnosi migliori e migliori piani terapeutici. In alcuni casi questo già avviene: i sistemi di AI possono svolgere un ruolo migliore dei medici nella diagnosi di particolari malattie, in radiologia per individuare masse tumorali le macchine possono fare meglio dei medici in carne ed ossa e con il tempo miglioreranno ancora. Non penso che la figura del medico scomparirà ma lavoreranno insieme alle macchine utilizzandole come strumento e come secondo parere.
Perché il progresso tecnologico di oggi è diverso da quello del passato?
La cosa più importante che sta avvenendo è che con l’AI le macchine pensano, hanno il potere di un cervello. Ora le macchine hanno cominciato a pensare in un modo più ampio così da poter sostituire gli esseri umani anche nel prendere decisioni, risolvere problemi, imparare. Il machine learning è davvero una tecnologia disruptive: questo ha lati positivi e negativi, basti pensare all’impatto sull’occupazione che è il principale focus del mio libro.
Quali lavori sono più vulnerabili all’automazione?
Per il futuro che si può prevedere ogni tipo di lavoro che sia in qualche modo prevedibile. Così se uno ogni giorno fa sempre le stesse cose e quelle che ha fatto nel passato farà anche nel futuro, il suo lavoro si può considerare vulnerabile. Non solo il lavoro dei colletti blu, ma anche molti lavori da colletti bianchi, di persone laureate, non solo con bassi livelli scolastici. Per esempio il radiologo che deve saper leggere le radiografie è un medico che ha studiato tantissimo ma potrà essere in parte sostituito dalle macchine.
Il Ceo di Tesla Elon Musk di recente ha detto che “dobbiamo regolamentare l’intelligenza artificiale o sarà troppo tardi”. È d’accordo?
In generale non penso che dobbiamo regolamentare per fermare il progresso. Penso che esistano aree dove la regolamentazione è doverosa, per esempio la privacy, ma in generale non sono d’accordo con Musk: il giorno dopo che ha detto quelle cose ci sembrava di esserci risvegliati in un film di Terminator. Non ha detto una cosa stupida, è qualcosa di cui dovremo preoccuparci in futuro, ma non succederà presto, almeno tra trenta o quarant’anni, forse di più. E poi ci sono altre considerazioni da fare: sull’IA il mondo occidentale è in competizione con la Cina, non possiamo restare indietro, l’ultima cosa che dobbiamo fare è regolamentare in un modo che ci faccia accumulare ritardi. Dobbiamo essere consapevoli delle preoccupazioni sollevate da Musk ma non dobbiamo regolamentare.
Musk sembra aver posto problemi etici sul rapporto tra AI e gli esseri umani.
Uno dei problemi con le macchine di AI è la cosiddetta “scatola nera” (“black box”): i sistemi prendono qualche volta decisioni di cui non sappiamo il perché e fanno cose che non conosciamo, in alcune aree possono prendere decisioni condizionate da bias (pregiudizi). Ma in generale non penso che regolamentare sia una buona idea.
In Europa si ha più sensibilità verso la questione della privacy che negli Stati Uniti: perché secondo lei?
Non lo so, credo sia un problema culturale: forse qui negli Usa le persone sono più interessate ai benefici che derivano dallo scambio delle proprie informazioni con le macchine.
Nel suo libro ha scritto del problema della disoccupazione di massa e della minaccia di un futuro senza lavoro. Lo vede come un incubo, un mondo distopico?
Alcune persone pensano sia un incubo, ma non è necessariamente così. Si può immaginare anche un mondo dove le persone sono libere dal lavoro, dove hanno più tempo da trascorrere in famiglia, dove nessuno fa più mestieri pericolosi o che non piacciono. So che può sembrare disturbante ma la nostra sfida è di adattarci a questo futuro, e adattarci in un modo positivo: se non ci riusciamo molte persone rimarranno escluse.