Voglio il mio avvocato robot
Intelligenza artificiale e settore lavorativo: come sarà il futuro?
Intelligenza artificiale e settore lavorativo: come sarà il futuro?
Non solo gli impieghi meno qualificati. L’impatto dell’intelligenza artificiale sarà disruptive anche per molte professioni intellettuali. Ecco quali e perché, forse, non è detto che sarà un male.
L’auto senza conducente è diventata un’ossessione del nostro tempo. Se l’auto classica è stata il bene manifatturiero per eccellenza, quello che ha avuto il maggiore impatto sulle abitudini delle moderne società di massa tanto da diventare uno dei simboli del Novecento, quella senza conducente si candida allo stesso ruolo nell’epoca dell’intelligenza artificiale (AI).
In tanti sono convinti, probabilmente non a torto, che la self-driving car renderà le relazioni e i trasporti più facili, fluidi e diretti, almeno nelle grandi città del pianeta. Ma l’impatto sull’occupazione sarà paragonabile a una scossa sismica della massima potenza: si ritiene distruggerà migliaia e migliaia di posti di lavoro. L’algoritmo con cui automobili, camion o autobus curveranno, freneranno e si arresteranno sostituirà in molti casi il cervello, le braccia e le gambe di un autista.
Vetture e mezzi senza conducente sono pertanto il simbolo più manifesto della “minaccia” portata al lavoro umano dall’AI, che sfida l’essere umano anche nelle professioni dove contano ragionamenti, scelte, cervello.
Oltre ai trasporti, sono molti altri i settori che sconteranno una crisi occupazionale. La società di consulenza McKinsey ha elaborato una mappa interattiva, basata sul mercato del lavoro americano, ma dal valore potenzialmente globale, che evidenzia il tasso di automazione che ogni professione può arrivare ad avere. Più è alto, meno avrà chance di sopravvivere all’urto degli algoritmi.
Imballaggio, taglio delle carni, progettazione di protesi mediche, supervisori di volo, operatori di ponti mobili: in questi settori e per queste professionalità, per esempio, il lavoro umano è teoricamente destinato a scomparire del tutto. Tabula rasa.
Anche i mestieri più intellettualmente sofisticati sono a rischio. Da un po’ di tempo si parla sulla grande stampa – qui un pezzo del Financial Times; qui uno del New York Times – del destino degli avvocati. A differenza di quelle sopra citate, la categoria non sarà spazzata via del tutto. Ma alcune delle sue funzioni potranno essere sostituite dalle operazioni guidate dell’intelligenza artificiale, in un domani non così lontano.
In qualche caso questo domani è già oggi. Tre anni fa un ventenne, Joshua Broder, studente alla Stanford University, ha messo a punto un programma che permette di contestare le infrazioni subite dagli automobilisti senza passare dall’assistenza fornita da uno studio legale. Si chiama DoNotPay e nel relativo sito web è definito come “il primo avvocato robot al mondo”. Funziona così. C’è una prima fase in cui si cerca di capire se la multa può essere impugnata, e una seconda in cui il sistema coordina i passi che il singolo cittadino deve fare per presentare e gestire un ricorso. Nel giugno 2016, quando The Guardian gli dedicò un articolo, questo servizio aveva già gestito 250mila appelli in 21 mesi, vincendone 160mila.
Persino il giornalismo può servirsi dell’AI. L’agenzia di stampa Reuters ha avviato una collaborazione con Automated Insights, a cui è demandato il compito di scrivere dispacci, soprattutto per eventi sportivi minori. A quanto pare l’accuratezza è più che soddisfacente. E ciò che ne ricava l’agenzia è evidente: non c’è più bisogno che un reporter si rechi sul luogo della notizia.
Questi due esempi dimostrano che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha un passo incredibilmente veloce. Alcuni studi sembrano confermarlo. Uno, di McKinsey, dice che entro il 2055 la metà delle attività economiche esercitate oggi dall’uomo scomparirà. Si va da settori con un altissimo potenziale di automazione come ristorazione e housing (66%), manifatturiero (64%), trasporti (60%), commercio al dettaglio (54%), agricoltura e pesca (50%) ad altri settori dove solo in parte le macchine potranno sostituire l’attività umana, come finanza e assicurazioni (44%), immobiliare e costruzioni (44%), industria dell’intrattenimento (42%), informazione (41%), welfare e salute (38%).
Per quanto riguarda i Paesi sono Cina e Russia le nazioni con il più alto tasso potenziale di automazione (41%), seguite dal Brasile e India (39%), Giappone e Italia (38%), Stati Uniti e Canada (37%), Germani e Francia (36%).
Anche molti dei colossi della scena tecnologica reputano che il cambiamento incomba, che sia proprio dietro l’angolo. A Baidu, il primo motore di ricerca cinese, sono addirittura convinti che l’epoca dell’Internet mobile abbia esaurito il suo ciclo e che sia scoccata l’ora dell’intelligenza artificiale. Il dipartimento aziendale che si occupa del suo sviluppo arruola ormai 1300 persone. Le dirige Andrew Ng, giunto da Stanford. La sua convinzione – per tornare al tema cruciale del lavoro – è che molti posti verranno certamente bruciati, ma se ne creeranno anche di nuovi. Così ha spiegato al Wall Street Journal in una recente intervista.
Sempre McKinsey traccia un parallelo interessante tra il ruolo che potrà avere l’intelligenza artificiale e l’effetto che la meccanizzazione ha avuto in agricoltura all’inizio del XX secolo. “Nei Paesi sviluppati la tecnologia espulse la forza lavoro dall’agricoltura. Ma ciò non è coinciso con la disoccupazione di massa, perché a questo processo si è affiancata la creazione di nuovi tipi di lavoro”.
Anche il grande scienziato Stephen Hawking, solitamente molto critico, se non catastrofista davanti agli scenari aperti dagli sviluppi dell’intelligenza artificiale, di recente ha sottolineato gli aspetti positivi che essa può offrire in dote. Invitato a parlare all’Università di Cambridge, ha detto: “Non possiamo immaginare ciò che potremo ottenere quando i nostri cervelli saranno potenziati dall’intelligenza artificiale. Forse, con gli strumenti che ci metterà a disposizione, saremo capaci di rendere reversibili i danni causati all’ambiente dall’industrializzazione. E sicuramente ci si potrà impegnare per sradicare finalmente le malattie e la povertà”.
Un esempio virtuoso, in quest’ottica, viene dal campo della medicina. Nell’agosto del 2016 un super computer ha diagnosticano in dieci minuti la forma di leucemia di cui soffriva una sessantenne giapponese. I medici avrebbero impiegato settimane. “Non voglio esagerare nel dire che questa diagnosi ha salvato la vita della donna, ma ci ha fornito i dati in modo rapido ed efficace”, ha spiegato Aribobu Tojo, medico dell’ospedale di Tokyo che si è servito del supercomputer, si legge su venturebeat.com, che racconta questa storia.
“Il successo nella creazione dell’intelligenza artificiale può essere il più grande evento nella storia della nostra civiltà”, ha detto Hawking a Cambridge. E le incredibili potenzialità dell’AI nel mondo della scienza danno forza a queste parole. Ma lo scienziato, al tempo stesso, ha cercato di mettere in guardia, precisando che questa enorme risorsa potrebbe essere anche “la cosa peggiore” creata dall’uomo, se gestita male. E come in altre occasioni ha suggerito di istituire un centro universitario che si dedichi esclusivamente allo studio dell’intelligenza artificiale, proprio per evitare un suo utilizzo sbagliato. Per scongiurare un gigantesco autogol.