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I bias invisibili

Come riconoscere i bias e disinnescarli

I bias sono i pregiudizi inconsapevoli che prescindono dai fatti. Sono di molti tipi e quasi sempre involontari. Eppure condizionano le nostre opinioni e le nostre decisioni, anche pubbliche.

Trovare conforto nell’essere d’accordo con chi la pensa come noi. Ritenere che il nostro gruppo sia migliore degli altri. O ancora, credere che la propria visione del mondo corrisponda a quella della maggior parte delle persone. Sono alcuni dei tanti bias cognitivi (così chiamati in psicologia) che condizionano i nostri comportamenti e le nostre decisioni, anche pubbliche. In altre parole, spesso le nostre scelte e opinioni non sono fondate su un giudizio critico e oggettivo, ma su idee che non abbiamo voglia di verificare.

Di bias ne esistono molti tipi. Business Insider ha stilato una lista dei venti più ricorrenti. Alcuni hanno nomi curiosi. C’è il bias dell’ancoraggio, per esempio, quando si dà valore solo al primo segmento di un’informazione che viene appresa. Ma esiste anche il bias del cosiddetto “effetto struzzo”, che scatta quando infiliamo metaforicamente la testa sotto la sabbia per non voler vedere o ascoltare un’informazione che non ci piace.

Ci sono poi i bias conservatori, quando si dà valore a un’evidenza datata anche quando ne emerge una nuova (l’uomo faticò a capire che il mondo fosse tondo, perché aveva sempre ritenuto che fosse piatto). O i bias della disponibilità euristica”, quando tendiamo a dare giudizi sulla base delle informazioni parziali di cui disponiamo. E ancora, il famoso “effetto bandwagon”, secondo il quale la probabilità che qualcuno creda a qualcosa aumenta con l’aumentare delle persone che già lo credono.

Il mondo anglosassone, per il quale il principio dei fatti separati dalle opinioni è sacro, riflette da molto tempo sul rapporto tra bias e informazione. C’è chi, come l’agenzia di stampa britannica Reuters, ha pubblicato le linee guida per “liberare” i propri giornalisti dai bias e chi, invece, ritiene addirittura che pretendere dalla stampa l’imparzialità sia impossibile e che semplicemente ciò che viene detto o scritto dai giornalisti rifletta frequentemente ciò che i lettori vogliono che si dica o scriva: il mercato editoriale si regge proprio su questo.

Ma di bias si parla molto anche in economia, un’altra disciplina che in teoria dovrebbe basarsi in buona parte su fatti, numeri, percentuali. Noah Smith, columnist di Bloomberg ed ex docente di finanza, ha ricordato che anche gli economisti sono influenzati dai loro bias. “Se pensi che i meno abbienti non debbano ricevere salari più alti, è facile che la tua ricerca tenda alla conclusione che la presenza di regole sui salari minimi causi alta disoccupazione. Se al contrario credi che sia giusto tassare i ricchi e redistribuire a chi ha meno, c’è la tentazione di riportare nella ricerca solo quei risultati che suggeriscono questo”. Succede anche che qualcuno utilizzi i nostri bias per spingerci a prendere esattamente quelle decisioni, per esempio nel marketing.

Un altro esempio è quello dei bias “impliciti”. Ne ha parlato di recente il Financial Times, partendo da una notizia sulle disparità retributive alla BBC, dove le donne guadagnano sensibilmente meno dei colleghi maschi e i dipendenti bianchi più di quelli di colore. Il problema, che non è solo dell’emittente pubblica, secondo il quotidiano economico si nasconde proprio in questi bias impliciti, vale a dire i pregiudizi inconsapevoli di persone che manifestano buone intenzioni ma le cui decisioni, all’atto pratico, portano a discriminazioni. A un “razzismo senza razzismo”.

Vengono citati a questo proposito due studi condotti negli Stati Uniti. Nel primo fu inviato un certo numero di curricula fittizi per un posto di lavoro, una metà dei quali attribuiti a uomini, l’altra a donne: furono presi in maggiore considerazione i primi. L’altro studio fu promosso dall’Università di Stanford, che pubblicò su un sito Internet alcuni annunci per vendere un iPod. Nelle relative foto alcuni erano impugnati da una mano bianca, altri da una nera: nel secondo caso le risposte e le offerte furono sensibilmente inferiori.

Come cercare di disinnescare l’influenza dei bias? Secondo Noah Smith “se la tua ricerca evidenzia che le tasse sono un male per l’economia, riporta questi risultati e precisa che, in ogni caso, tu credi che i ricchi vadano tassati lo stesso”. In altre parole: resta convinto di quel che pensi, rendilo esplicito, ma cerca di completare il tuo giudizio per essere più critico.

Sembra una banalità, ma occorre uno sforzo non indifferente per compiere questa operazione. Un passaggio che anche Thomas Redman, un consulente d’azienda molto quotato in America noto come “the Data Doc”, già responsabile dei Bell Labs, consiglia sempre di fare. “Raccogli le informazioni che sostengono la tesi opposta alla tua e confrontale con quelle che hai usato per sostenere la tua opinione. Ripensa la tua scelta alla luce di questo. La tua prospettiva potrà non essere ancora completa, ma sarà di certo più bilanciata”, ha scritto per la Harvard Business Review.

Redman ha qualcosa da suggerire anche alle grandi imprese, costrette spesso a prendere decisioni complesse e delicate in un arco di tempo strettissimo. L’esperto in questo caso consiglia di delegare, se possibile. Un manager che va di fretta dovrebbe per esempio chiedersi se non sia opportuno affidare a un collega o a un collaboratore che ha più tempo a disposizione l’analisi e la scelta su un determinato aspetto.

La sostanza non cambia troppo se si sfoglia il manuale che l’Università della Sud Carolina ha preparato per i suoi studenti, proprio per evitare che finiscano nella trappola dei bias. Nel documento vengono elencati i più insidiosi e si fanno esempi concreti di come abbiano influito su alcune tendenze (un caso è quello dei subprime pre-crisi del 2008). Infine vengono snocciolati alcuni consigli:

  • sfida lo status quo
  • cerca più prospettive 
  • trova più informazioni
  • fai l’avvocato del diavolo
  • rifletti sui tuoi punti di vista e i tuoi valori


Nulla di trascendentale: un po’ di metodo scientifico e un po’ di buon senso.