Estrazione/Astrazione: il potere dell’uomo sul clima
C’è una bellezza che fa male in queste immagini. Documentano quarant’anni di impatto umano sul pianeta. Con una visione non giudicante, spesso dall’alto, il fotografo canadese Edward Burtynsky spiega meglio di qualsiasi scienziato il prezzo del sostentamento di otto miliardi di persone su una Terra che non è infinita e alla quale nessuno ha mai chiesto permesso
L'impatto sul terreno di una miniera di diamanti a Kimberley, in Sudafrica.
Gli effetti del bunkeraggio di petrolio illegale sul fiume Niger, in Nigeria nel 2018.
Dall’alto il mondo fa un po’ più paura perché i nostri occhi non possono rifugiarsi nell’ignoranza, immergendosi nel bello e nel brutto senza preavviso e senza filtri. Pensate alla Sicilia, il cui lento ma inesorabile processo di desertificazione sfugge all’attenzione dei “terrestri” non abituati a vivere a contatto con la natura, ma stravolge violentemente lo sguardo di chi osserva l’isola dal finestrino di un aereo.
Non a caso, quella dall’alto è una delle prospettive preferite da Edward Burtynsky, canadese classe 1955, mostro sacro della fotografia naturalistica, che da quarant’anni gira il pianeta alimentato da una missione: documentare l’impronta antropica sui paesaggi verdi, incontaminati e ora dominati dall’uomo, a cui non è mai piaciuto chiedere permesso.
Queste fotografie e quella precedente: immagini tratte dal lavoro fotografico di Burtynsky sulla Xilella fastidiosa che sta distruggendo l’olivicoltura in Puglia.
Gli scatti provengono da ogni angolo del globo – dalla miniera di potassio di Berezniki (Russia) alle saline di Cadice (Spagna), passando dagli impianti di trattamento del nichel a Sudbury (Canada) o da un laghetto di scarico vicino a una miniera di diamanti a Wesselton (Sudafrica) – ma Burtynsky ha espresso un desiderio particolare rispetto alla mostra, richiamando la necessità di una visione d’insieme: «A chi guarda chiedo di accantonare le idee preconcette su dove si possa trovare la bellezza e di viaggiare con me, per esempio, fino alle discariche di Nairobi per guardare in faccia la realtà e le conseguenze di una cultura planetaria fondata sulla plastica. Queste immagini mostrano la condizione umana, senza approvazione né denuncia: sono semplicemente la realtà dei nostri tempi e illustrano il costo esorbitante del sostentamento di otto miliardi di persone su un pianeta che non è infinito», scrive il fotografo in un testo del volume “Burtynsky Extraction / Abstraction” (Steidl, Göttingen, 2024), tradotto da Barbara Del Mercato.
Miniere, cave, raffinerie, fabbriche e corsi d’acqua deturpati dalle industrie fanno parte dell’immaginario (a tratti sconvolgente e tenebroso) proposto da Burtynsky, celebre anche per la produzione di documentari proiettati nei festival di tutto il mondo.
Tra le mura di M9, il museo multimediale del Novecento di Mestre (via Giovanni Pascoli, 11), fino al 12 gennaio 2025 sarà possibile immergersi nella più ampia antologica dedicata alla carriera dell’artista di St. Catharines. “BURTYNSKY: Extraction/ Abstraction”, il titolo della mostra curata da Marc Mayer (già direttore della National Gallery of Canada e del Musée d’Art Contemporain di Montreal), si divide in sei sezioni tematiche che non si limitano a proporre fotografie in grande formato: lo spettatore potrà scoprire, per esempio, i droni che hanno permesso a Burtynsky di reinventarsi in una fase cruciale della sua vita professionale.
La miniera di potassio di Berezniki, le saline di Cadice, gli impianti di trattamento del nichel in Canada, il mondo mostra ferite sanguinanti
Cathedral Grove, foresta in British Columbia (Canada), set di Guerre Stellari e ora meta di overtourism da pellegrinaggio.
Parliamo infatti di una mostra che si comporta più da manuale di approfondimento, con l’obiettivo di indagare le sfaccettature dell’emergenza più pervasiva del nostro periodo storico: il cambiamento climatico. Burtynsky ha scelto di focalizzarsi anche sulla questione agricola, soffermandosi – per quanto riguarda l’Italia – sugli effetti della Xylella fastidiosa sugli ulivi pugliesi. Le temperature sempre più alte stanno favorendo la proliferazione di un batterio che, stando all’ultimo monitoraggio di Coldiretti, ha contagiato più di ventuno milioni di piante in Puglia, causando danni calcolabili nell’ordine dei miliardi di euro.
Le saline di Cadice, in Spagna, riprese dall’alto nel 2013. Al centro dal 2021 di un programma di protezione, ha visto in 70 anni perdere parte della sua biodiversità.
Il fiume glaciale Thjorsa, in Islanda, nel 2012, quando stava avanzando il piano di costruzione di dighe, centrali geotermiche, fonderie d’alluminio, e una raffineria petrolifera.
Anche la fotografia può essere un mezzo in grado di intrecciare, rendendoli più accessibili, temi climatici e finanziari, che non possono più essere trattati separatamente: i danni economici di questa crisi, spiega uno studio pubblicato su Nature ad aprile 2024, hanno già superato di sei volte i costi necessari per rispettare il target dell’accordo di Parigi (non oltrepassare i +2°C di aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli pre-industriali, restando preferibilmente nella soglia dei +1,5°C). In questo contesto, secondo Burtynsky, l’arte può ancora emergere come fonte di speranza e sensibilizzazione, perché «ci mostra un modo di essere nel mondo più pieno, dotato di un significato più profondo», indicando «un’altra via da percorrere» e abbracciando «il meglio che la scienza ha da offrire». Un concetto puntualmente ribadito nel documentario “In the Wake of Progress” (2022), co-prodotto da Burtynsky, proiettato in modalità immersiva e in esclusiva italiana come atto conclusivo del percorso espositivo.
La miniera di Potassio di Berezniki, in Russia, fotografata nel 2017.
Le scorie dell’estrazione di nichel colorano di arancio i corsi d’acqua di Sudbury, in Ontario (Canada, 1996).
Fabrizio Fasanella
Giornalista di Linkiesta, è esperto di ambiente e responsabile della newsletter Greenkiesta.