Georg, il vigile del fuoco
Trieste 6 giugno 1837
Cara Madre
Vi scrivo questa lettera per dirvi che qui tutto procede per il meglio.
Lì a Vienna come vanno le cose? La piccola Jole?
La mia salute è buona, la città mi ha accolto così bene che in pochi giorni ho trovato un impiego. Sono vigile del fuoco!
Non ti preoccupare, non è un mestiere pericoloso. Mi hanno fatto un addestramento di cinque giorni e ora so manovrare finanche la manichetta dell’acqua. I miei colleghi arrivano da tutta Europa, ci sono: un tedesco, un greco, due serbi, un ungherese, e tre italiani, parliamo almeno quattro lingue diverse, e usiamo il triestino come lingua franca.
La prima uscita l’abbiamo effettuata tre notti fa. È stata un’emozione grandissima.
Su Trieste da giorni soffia un forte vento di bora che raffredda l’aria e fa volare i cappelli agli uomini e le sottane alle signore.
Alle nove e trenta della sera, il cielo ancora chiaro, all’improvviso suona l’allarme, saliamo sul carro antincendio, liberiamo i cavalli e corriamo verso la direzione del fuoco.
È il crepuscolo, una luce arancione copre la città e il fumo viene spazzato dal vento, raggiungiamo un palazzo in pietra, vicino al Canale Grande ma il fuoco non si vede, deve essersi acceso ai piani alti, io sono spaventato. Mille domande si fanno spazio dentro di me: e se non sono all’altezza? Se mi infilo in qualche pasticcio?
Non voglio certo far come i guardiani del teatro la Fenice di Venezia che dormivano durante l’incendio del teatro!
Per poter riconoscere i palazzi che dobbiamo proteggere gli assicurati affiggono sul muro accanto ai portoni di ingresso delle “targhe incendio” che portano la scritta “Assicurazioni Generali”. In tal modo noi sappiamo dove dobbiamo dirigerci, che sono quelli i nostri palazzi.
Ma ieri sera quella targa non era dove doveva essere, abbiamo girato intorno al quartiere per un tempo che non finiva e non puoi sapere quanto importante sia esser tempestivi quando c’è di mezzo il fuoco.
L’odore di fumo nell’aria era forte eppure non riconoscevamo il nostro palazzo. Poi preso da un colpo di tosse per il fumo presente nell’aria mi sono appoggiato sulle ginocchia e da quella posizione ho visto la targa. Giaceva a terra, capovolta, probabilmente strappata via dalla bora, o chissà da chi. L’ho presa in mano, scottava.
Ho avuto quasi un sobbalzo, ho alzato la testa e ho visto il contorno della targa che si stagliava sopra al portone di fronte a me, sullo sfondo del muro sbiadito dal sole e dalla salsedine.
“Es ist hier!” ho urlato.
Abbiamo immerso le pompe nel Canal Grande e abbiamo iniziato a sparare acqua.
Ci è voluta una notte intera per spegnere quel fuoco.
Siamo tornati a casa esausti ma pieni di gioia, gioia che si è moltiplicata quando il capitano questa mattina mi ha consegnato quella targa incendio come ringraziamento per averla trovata “la compagnia vuole che la tenga tu” mi ha detto.
Non vedo l’ora di mostrartela mamma. Faccio il lavoro più bello del mondo.
Ah, mamma, ho anche fatto la conoscenza di una ragazza di qui, di cui ti parlerò con piacere nella prossima lettera e chissà che un giorno non ti possa mostrare anche lei.
Tuo figlio.
Georg
LA STORIA
Nel 1831, anno di fondazione di Assicurazioni Generali, l’assicurazione contro gli incendi era piuttosto diffusa, poiché si trattava di una categoria di danno molto frequente. Il sistema delle targhe era semplice e innovativo: le placche in metallo che riportavano il nome e l’effigie della compagnia venivano affisse sopra l’ingresso delle case assicurate e rendevano facilmente riconoscibili i palazzi protetti.
L’utilizzo di targhe avvantaggiava non solo i proprietari degli immobili assicurati, riducendo la probabilità di propagazione delle fiamme anche a proprietà confinanti non assicurate, grazie alla protezione offerta dai corpi di vigili del fuoco nati anche su impulso delle stesse compagnie di assicurazione, fra le quali Generali che contribuì alla nascita di corpi regolari in varie città. Un vantaggio, questo, per la sicurezza della vita di tutta la comunità.