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Sta arrivando l’inverno per l’Intelligenza Artificiale?

C'è ancora interesse per la tecnologia, ma la fase di espansione sembra stia giungendo al termine, con le aziende che stanno riconsiderando le loro strategie. Nel medio e lungo termine, però, quel che conta è l’effettiva adozione della tecnologia: il punto di Luca De Biase per il Bollettino Generali

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Ormai da qualche anno l’Intelligenza artificiale (IA), in particolare quella generativa, sta rivoluzionando le nostre vite e, soprattutto, il lavoro delle aziende, avendo il potenziale di risolvere problemi complessi e pensare in modo intuitivo, andando oltre la semplice automazione. 
Un fattore che ha determinato un radicale mutamento del modo di concepire il lavoro, avendo il potenziale per trasformare la nostra società. Tuttavia, negli ultimissimi tempi, le aziende stanno iniziando ad adottare un approccio più cauto all’IA, concentrandosi sulle applicazioni pratiche piuttosto che su promesse utopistiche. 

Le strategie delle aziende

Due nuovi studi hanno ora rivelato che, nonostante ci sia ancora interesse per l'IA, la “luna di miele” sembra essere finita. Le aziende stanno riconsiderando le loro strategie, con un occhio più attento ai costi e alla sicurezza, in favore di una comprensione più realistica del potenziale e dei limiti di questa tecnologia. 

Inoltre, l’intelligenza artificiale generativa (gen-AI) non ha preso il sopravvento su così tanti lavori come si temeva in precedenza. E, a quanto pare, la tecnologia potrebbe essere ridotta a un mero assistente sofisticato per i dipendenti umani. A febbraio il Wall Street Journal ha raccontato come alcuni “early adopter” – aziende che per prime avevano investito nelle intelligenze artificiali generative – stiano faticando a trovare applicazioni abbastanza utili da giustificare la spesa.

“AI washing”

Questa prospettiva sta addirittura alimentando il sospetto diffuso tra alcuni analisti che le IA siano strumenti notevoli e potenzialmente utili, ma che le aziende del settore ne stiano esagerando le capacità odierne, soprattutto per ottenere investimenti. 

A sostenerlo è ad esempio Gary Gensler, presidente della Securities and Exchange Commission (SEC), l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza delle borse valori, che ha coniato il concetto di “AI washing” per indicare la strategia usata dalle aziende che nominano le intelligenze artificiali nei loro report, spesso senza alcuna base concreta. 

Non una sostituzione, ma un potenziamento

Ovviamente ci sono delle eccezioni a questa tendenza. Alcuni settori, come la tecnologia e la vendita al dettaglio, hanno trovato un certo successo con l'intelligenza artificiale, e la stanno usando per semplificare le attività e aumentare la crescita, non per sostituire i lavoratori umani. 

L'IA, lungi dal renderci obsoleti, sembra avere il potenziale per essere uno strumento potente che può aiutarci a lavorare in modo più intelligente ed efficiente. Il futuro dell'IA sembra dunque essere quello della collaborazione, in cui esseri umani e macchine lavorano insieme per ottenere di più. 

Il valore sta nell’adozione: Luca De Biase per il Bollettino Generali

Quel che sembra emergere, d’altro canto, è la consapevolezza del fatto che l'innovazione non nasce quando si progetta una tecnologia, ma quando chi la adotta ne riconosce il valore. Un punto, questo, colto perfettamente dal giornalista e saggista Luca De Biase nel suo articolo "Al confine del futuro", pubblicato sul Bollettino Generali nel dicembre 2023. “Il processo di ricerca inizia con un tentativo di capire se la nuova tecnologia verrà adottata. E poi di prevederne le possibili conseguenze. La teoria è chiara: le tecnologie in un mondo in rete hanno valore solo se ampiamente adottate”, scrive De Biase.

L’articolo insiste quindi sulla necessità di una migliore capacità di prevedere quali tecnologie abbiano il potenziale per produrre innovazione. “Soddisfare il bisogno di conoscenza sul potenziale delle nuove tecnologie richiede un cambiamento di cultura. Non è un compito facile; una volta che ci si rende conto che una nuova tecnologia può avere un impatto, dobbiamo sapere se sarà desiderabile o porterà effetti collaterali dannosi”

Poiché le previsioni si avverano molto raramente in circostanze mutevoli, secondo De Biase è quindi necessario trovare un modo più realistico per prevedere quali innovazioni avranno conseguenze molteplici, soprattutto quando è necessario comprendere l'auspicabilità dei loro effetti sulle persone e sulle comunità.

Il valore sta nell’adozione: Luca De Biase per il Bollettino Generali

Una ricostruzione in tempo reale di fotografie in time lapse scattate a bordo della Stazione Spaziale Internazionale dall'Unità di Scienze della Terra e Telerilevamento della NASA. ORBITA – Un viaggio in tempo reale attorno alla terra / Sean Doran (UK).

La Curva di Rogers: comprendere l'adozione delle innovazioni

Per comprendere appieno l'adozione delle innovazioni, e capire come le persone accettano e adottano nuove idee e tecnologie, esiste uno strumento di rilevazione che si è rivelato di particolare efficacia: la cosiddetta “Curva di Rogers”.

Si tratta di uno strumento concettuale che prende il nome dal sociologo statunitense Everett Rogers e aiuta a delineare il processo attraverso il quale le innovazioni si diffondono nella società, descrivendo come i nuovi prodotti vengono accolti e adottati. Per semplificare, si tratta di una rappresentazione grafica che descrive il modo in cui diversi segmenti e classi di pubblico hanno la volontà di provare o usare un determinato prodotto nel tempo.

Gli “Adopter” secondo Rogers: chi sono e come si comportano

Rogers teorizzò l’esistenza di cinque gruppi di Adopter, ciascuno con caratteristiche specifiche e che si avvicendano nell’acquisto e/o nell’utilizzo dei prodotti con modalità e tempi differenti:

  • Gli innovatori, i quali non temono l’alto grado di complessità e incertezza solitamente associato ai nuovi prodotti e tendono a essere esperti di tecnologia;
  • i visionari, che non sono diffidenti nei confronti della tecnologia ma hanno bisogno di maggiori informazioni per conoscerne meglio le funzionalità;
  • i pragmatici, i quali adottano un prodotto solo dopo che avrà guadagnato una buona reputazione;
  • i conservatori, i quali non amano il cambiamento, a meno che non si adatti perfettamente alla loro visione del mondo;
  • gli scettici, che non sono disposti a cambiare e che possono anche essere difficili da raggiungere con le campagne di marketing, perché spesso hanno un’esposizione minima ai media.


Un’innovazione, in ultima analisi, dev’essere compatibile con i valori, le esperienze e le esigenze dell’individuo o dell’organizzazione: più un’innovazione si adatta all’ambiente esistente, maggiori sono le probabilità di adozione. La comprensione di questi fattori è essenziale per progettare strategie efficaci di diffusione di innovazioni e per adattare i messaggi di marketing alle esigenze e alle percezioni del pubblico.