Come ampiamente prevedibile, la corsa per produrre il primo vaccino Covid-19 non è più solo una questione di salute pubblica, ma si sta rapidamente trasformando in una battaglia geopolitica. Oltre che una soluzione per arginare l’emergenza sanitaria, il vaccino è infatti una risorsa politica ed economica, come si è visto con le sperimentazioni dei primi vaccini: da una parte le aziende produttrici hanno annunciato risultati promettenti delle prime fasi dei test prima ancora di pubblicare gli esiti degli studi clinici condotti, dall’altra i governi si sono affrettati a prenotare dosi dei diversi vaccini senza aspettare che il loro di iter di approvazione si fosse concluso. Si è così innescata una sorta di guerra ad accaparrarsi il vaccino che si è intensificata in concomitanza con le elezioni presidenziali Usa, mentre qualche perplessità destano i vaccini approvati da Russia e Cina, non ancora completamente testati.
Non si tratta solo di proteggere la salute della popolazione. Come concordano diversi esperti, infatti, un vaccino è anche fondamentale per riportare le economie sulla buona strada: i leader mondiali lo sanno e stanno facendo di tutto per accumulare centinaia di milioni di dosi di potenziali vaccini preordinati, scommettendo sul fatto che il “cavallo” su cui hanno puntato avrà successo.
È così che i vaccini possono essere considerati delle vere e proprie risorse strategiche per gli Stati, alla stregua delle armi militari: disporre di un vaccino è infatti un'opportunità per rafforzare la posizione geopolitica e il prestigio di un Paese. Ed ecco allora che, ad esempio, il Regno Unito si è assicurato fino a 30 milioni di dosi del vaccino creato da BioNTech e Pfizer (che lo scorso 9 novembre hanno annunciato che il vaccino su cui hanno collaborato ha un’efficacia che supera il 90% nel prevenire casi sintomatici di Covid-19), ma ha al tempo stesso un accordo separato con AstraZeneca per 100 milioni di dosi del suo vaccino e un altro accordo con GSK e Sanofi Pasteur per 60 milioni di dosi. AstraZeneca ha anche un contratto con quattro paesi dell'Ue - Paesi Bassi, Germania, Francia e Italia - per l'acquisto di 400 milioni di dosi. Quanto agli Stati Uniti, hanno concluso tre accordi: uno con BioNTech e Pfizer (del valore di quasi 2 miliardi di dollari) per 600 milioni di dosi, un altro con AstraZeneca per 300 milioni di dosi e un terzo con Novavax per 100 milioni di dosi. Di fronte a una tale corsa al vaccino, tuttavia, il rischio è che i Paesi meno sviluppati – e in particolare quelli in via di sviluppo – restino indietro.
Per prevenire un tale rischio, la Coalizione per l'innovazione in materia di preparazione alle epidemie (Cepi), in collaborazione con la Gavi Alliance e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha lanciato l’iniziativa Covid-19 Global Vaccine Access Facility, nota come Covax Facility, un meccanismo globale di condivisione del rischio per l'approvvigionamento in comune e la distribuzione equa dei vaccini Covid-19. L'idea è di impedire il ripetersi della folle corsa per assicurarsi il vaccino contro l'influenza suina, che nel 2009 portò i Paesi ad alto reddito a requisire gran parte degli stock, lasciando i Paesi in via di sviluppo in coda. Il problema, spiegano diversi esperti, è che non esiste un'entità globale che abbia sia il potere che l'autorità per imporre un sistema funzionante per distribuire equamente il vaccino. La stessa struttura Covax, infatti, agisce su base volontaria, e peraltro il progetto ha già ricevuto le critiche di diversi gruppi della società civile secondo cui i Paesi donatori saranno in grado di coprire fino al 20 per cento della loro popolazione, senza accordi simili previsti per i Paesi finanziati.
Quanto sta accadendo suggerisce che la lotta alla pandemia è destinata a determinare effetti geopolitici non trascurabili. Il Paese che per primo supererà la fase emergenziale, del resto, acquisterà un vantaggio competitivo e d’immagine che potrà aiutarlo a cementare dei rapporti privilegiati con i Paesi verso i quali si dirigerà prioritariamente l’esportazione dei propri vaccini, potendo dunque farvi leva per costruire una posizione di forza sul piano geopolitico. In un tale contesto sarà importante favorire una cooperazione multilaterale fra Paesi, nella consapevolezza che l’interdipendenza sul piano della salute pubblica sarà l’unica risposta efficace alla pandemia. In questo senso, è infine importante sottolineare le nuove forme di collaborazione che si sono messe in moto tra laboratori e centri di ricerca di Paesi diversi, il che lascia ben sperare che questa logica sia seguita anche dagli Stati stessi tra di loro.