Nuovi modelli di lavoro nelle aziende: cosa cambia con l’emergenza Covid-19
La pandemia di Covid-19 ha costretto le aziende a compiere l'esperimento sociale più significativo della storia recente. Molti lavoratori si trovano infatti a dover svolgere compiti che non avrebbero mai potuto immaginare alcune settimane fa, mentre le aziende hanno riadattato i propri impianti per produrre mascherine, camici chirurgici o ventilatori polmonari. Reinventare le organizzazioni aziendali attorno ai vincoli del difficile contesto economico odierno, se da un lato può comportare inevitabili ostacoli e ricadute negative nel breve periodo, dall’altro può accelerare il futuro del mondo del lavoro e dell’organizzazione aziendale, costruendo realtà con una maggiore resilienza, efficienza e sostenibilità. La drammatica situazione che sta attraversando il mondo a causa della pandemia di Covid-19, del resto, sta portando con sé nuove tendenze che, una volta finita l’emergenza, dovranno aprire una seria ed approfondita riflessione sui nuovi modelli di lavoro.
L’impiego massiccio dello smart working nelle aziende, per esempio, costituisce un’occasione per aumentare ulteriormente l’inclusione. Lo sviluppo di nuove piattaforme tecnologiche per favorire il lavoro da casa può spingere le aziende ad assumere persone disabili, ridurre le distanze geografiche e favorire coloro, soprattutto donne, che devono accudire figli, anziani o familiari malati. D’altro canto, restano ben presenti i rischi che una tale trasformazione rischia di innescare: come sottolineato di recente in una lettera inviata indirizzata alla ministra per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Paola Pisano, il presidente della Società degli economisti, Alberto Zazzaro, ricorda che "dati i ruoli diseguali nella distribuzione del lavoro di cura e domestico (dati Ocse mostrano che le donne italiane lavorano 1 ora e mezzo al giorno in più degli uomini se si somma lavoro pagato e lavoro non pagato), è molto probabile che le misure di contenimento del Covid-19 comportino un ulteriore aggravio del carico di lavoro delle donne, con potenziali conseguenze negative di lungo periodo sull'occupazione femminile e sui divari salariali di genere". Se da un lato, quindi, potrebbe essere utile chiedersi quanto si fosse realisticamente lontani dalla parità di genere prima della pandemia, dall'altro è fondamentale strutturare il dopo per far sì che questa parità si attui una volta per tutte. E per farlo si può partire proprio dal ruolo chiave che, soprattutto nei periodi di crisi, ricoprono le donne nella sussistenza familiare.
Lavorare da remoto, poi, può anche favorire una maggiore diversità e inclusione sul posto di lavoro. Da un lato, il lavoro a distanza consente a un'azienda di attingere a un pool di talenti molto più diversificato e può aprire opportunità di lavoro per individui provenienti da aree geograficamente isolate. Allo stesso tempo, lavorare in remoto può favorire un ambiente più inclusivo fornendo uno spazio sicuro per le persone che potrebbero sentirsi soggette a discriminazione nell'ambiente di lavoro. E lavorare in remoto può essere particolarmente utile per quei dipendenti – il più delle volte donne – che hanno responsabilità di custodia di bambini, anziani o familiari cronici; purché ciò avvenga in condizioni di normalità, ovvero di effettiva parità di genere, che a sua volta può essere garantita solo con un adeguato pluralismo di idee, soprattutto dove si prendono decisioni in merito al futuro economico del Paese.
La crisi che stiamo vivendo, inoltre, sta accelerando anche la tendenza – già in crescita negli ultimi anni – verso la digitalizzazione. In un contesto di generale confusione e preoccupazione, la tecnologia può infatti aiutare gli imprenditori e supportare i consumatori: l’innovazione è in grado infatti di aumentare la velocità di risposta alla situazione attuale e di garantire la sicurezza ai dipendenti nella quotidianità per facilitarne le attività. Il Sud-est asiatico, in questo senso, è un esempio notevole di come la politica abbia incoraggiato gli investimenti: è il caso di Gojek e Grab, le società di ridistribuzione e consegna che competono per la quota di mercato in questa regione. Altri esempi validi sono quelli rappresentati dalla società di telemedicina polacca MedApp, che ha investito negli Stati baltici consentendo la diagnosi cardiovascolare tramite telemedicina, e da Interswitch, società di elaborazione dei pagamenti con sede a Lagos, in Nigeria. Una solida infrastruttura digitale di base è, dunque, la chiave per lo sviluppo e la crescita dell'economia digitale. Attrarre investimenti in infrastrutture digitali richiede però anche un quadro normativo favorevole, ad esempio politiche e misure che incoraggino gli investimenti nei processori di pagamento. Il successo nell'attirare investimenti stranieri nelle infrastrutture digitali può apportare vantaggi significativi alle aziende locali, in particolare alle piccole e medie imprese. Solo in presenza di progressi tangibili in questo campo sarà possibile consentire la crescita di beni e servizi digitali attraendo investimenti, favorendo così la ripresa dell’economia globale dalla crisi attuale.
Un caso aziendale interessante per capire l’utilità della tecnologia nel garantire da una parte la salute di dipendenti e clienti e, dall’altra, di permettere alle attività di riprendere la propria produttività viene dalle soluzioni Digital Technologies. L’azienda italiana con sede a Milano ha voluto creare strumenti digitali anti-coronavirus, come il termoscanner Tupucheckpro. Si tratta di strumenti capaci di aiutare davvero nella gestione aziendale quotidiana: il termoscanner in meno di un secondo riconosce la temperatura e individua la presenza della mascherina, in autonomia senza l’ausilio del personale specializzato e senza contatto. Basta posizionarsi davanti a un tablet e questo risponde in meno di un secondo mettendo a disposizione segnali audiovisivi. Inoltre lo strumento consente la massima integrazione con i sistemi di sicurezza aziendali già esistenti e i sistemi di accesso. Per garantire il distanziamento sociale ai fini di una ripartenza in sicurezza, poi, Digital Technologies propone una soluzione tecnologica a supporto di istituzioni, aziende e persone: DT Shield, un’applicazione che costituisce un vero e proprio ecosistema integrato per la prevenzione e la protezione di dipendenti e clienti, utilizzabile tramite il proprio dispositivo cellulare o wearable. L’obiettivo è quello di offrire uno strumento per censire e tracciare potenziali contatti con persone risultate positive al coronavirus, dandone notifica agli utenti.
Sostenere la competitività digitale può, dunque, aiutare le economie a riprendersi dalla pandemia di Covid-19: dalle riunioni virtuali alle fabbriche automatizzate agli ordini online, i servizi digitali stanno diventando sempre più importanti, permeando un numero crescente di settori e attività. Tuttavia, anche in questo caso siamo ancora ben lontani dalla nascita di un nuovo modello: per far sì che questo avvenga, nel periodo post-pandemia sarà fondamentale sostenere tale competitività digitale, soprattutto attraverso gli investimenti diretti esteri (Ide) che possono contribuire ad apportare tecnologia, know-how, posti di lavoro e crescita. E non è un caso se la Commissione europea, nelle sue annuali raccomandazioni-Paese, abbia sottolineato la necessità di investire proprio su ambiente e digitale. Nell'ambito del prossimo bilancio dell'Ue a lungo termine - il quadro finanziario pluriennale - la Commissione ha inoltre proposto un programma incentrato sulla costruzione delle capacità digitali strategiche e sulla promozione dell'ampio dispiegamento delle tecnologie digitali. Con un budget complessivo pianificato di 9,2 miliardi di euro, il programma mira a modellare e a sostenere la trasformazione digitale della società e dell'economia europea.