Diversità e inclusione, nuovi pilastri delle strategie di business
Progetti e iniziative per aprire le aziende alle diversità
Valorizzare l’integrazione e la diversità all’interno dell’ambiente di lavoro per farne una strategia di business. È questa la strategia che sottende al concetto di Diversity & Inclusion, sempre di più considerata una fonte di innovazione per le aziende nel mercato di lavoro del 21esimo secolo. Integrare il Diversity & Inclusion Management all’interno di un’organizzazione presuppone, del resto, un cambio culturale che implica anche di fronteggiare alcune resistenze, il che richiede una capacità di pensiero complesso per affrontare la quale risultano necessarie una maggiore autonomia e ascolto delle idee a vari livelli dell’organizzazione. Secondo quanto emerso da uno studio condotto da Wise Growth e Istud Business School, che ha coinvolto 55 aziende di grandi dimensioni e attive in diversi settori industriali, un luogo di lavoro accogliente e aperto alle diversità è la leva prioritaria all’adozione di politiche di Diversity & Inclusion. In particolare, per il 95% del campione l’obiettivo principale è quello di migliorare il clima aziendale, per l’84% quello di promuovere la diversità in tutti i livelli gerarchici, per l’80% attrarre e trattenere una forza lavoro plurale, per il 71% la possibilità di utilizzare e valorizzare le differenze di pensiero nei processi decisionali e per il 61% la diminuzione dei costi associati al turnover, all’assenteismo e alla bassa produttività.
Secondo la stessa indagine, la pratica più diffusa è relativa all’area flessibilità/smart working, adottata dal 76% delle imprese campione; a seguire il networking finalizzato al "knowledge sharing con altre realtà aziendali (58%), i programmi di empowerment (55%), quelli di mentoring (53%) e gli interventi di sostegno alla maternità (53%).
Per quanto riguarda specificatamente i manager, la formazione per sensibilizzare alle tematiche di Diversity & Inclusion è la pratica più diffusa (73%), seguita dalla creazione di modelli di leadership plurale (55%), mentre nel 42% delle imprese vengono utilizzate quote, target numerici o Key Performance Indicators (Kpi) per accelerare il cambiamento. Sebbene nel contesto italiano vi siano stati, in anni recenti, numerosi e significativi cambiamenti circa il tema della gestione della diversità, il principale target è ancora prevalentemente legato alle differenze di genere (82%). Al secondo posto le iniziative rivolte ai giovani (55%) e a seguire quelle rivolte alle persone con disabilità (53%).
Un primo, indiretto riferimento al concetto di Diversity & Inclusion compare con l’istituzione del Centro di sviluppo dell'Ocse, nel 1962, concepito come piattaforma indipendente per la condivisione delle conoscenze e di dialogo politico tra i paesi membri. Da allora il Centro attira l'attenzione sull'emergere di problemi sistemici che potrebbero avere un impatto sullo sviluppo, basandosi sull'evidenza di analisi e partenariati strategici per aiutare i paesi a formulare soluzioni politiche innovative per le sfide di sviluppo globali. Nel quadro degli obiettivi delle Nazioni Unite che spingono a promuovere una maggiore inclusione a livello sociale e di genere come forma di lotta alle “diversità”, esempi virtuosi si segnalano poi all’interno delle grandi imprese multinazionali, ma non solo. In Africa, ad esempio, modelli di imprese inclusive trovano spazio in paesi a basso reddito come il Burkina Faso, ma anche in mete in solida crescita come l'Etiopia e il Ghana: sono iniziative spesso avviate con il sostegno di enti multilaterali e di credito (Ocse, Banca Mondiale) per poi affinarsi con metodologie proprie e una maggiore integrazione territoriale.
Significativa appare l'esperienza del network Sonke Gender Justice, una rete con base in Sudafrica sostenuta da donatori di diverso calibro e diffusione (Unhcr, Unicef, Open society foundation for South Africa, tra le altre) che ha dato vita a progetti stabili coinvolgendo uomini e donne di diversa estrazione sociale: rifugiati e migranti, detenuti ed ex detenuti, attivisti della società civile e del settore privato fra gli altri. In Burkina Faso un esempio di collaborazione fra il settore privato e le realtà locali è dato invece dalle attività della Fondazione L’Occitane. Il gruppo francese sostiene una rete di cooperative tessili locali e con l'imprenditoria femminile, sostenendo finora 15 mila donne nel rafforzamento della loro attività. La Fondazione ha sviluppato un approccio a tre pilastri: programmi di alfabetizzazione rivolti alle donne; supporto finanziario e tecnico tramite microcredito programmi e corsi di formazione; e supporto alle attività imprenditoriali per le piccole imprese.