Migrare a causa del clima
Ragioni e prospettive del fenomeno migratorio
Le migrazioni dovute ai cambiamenti climatici sono già in atto da ormai qualche anno, ma hanno avuto poco spazio nel dibattito pubblico rispetto alle migrazioni per motivi economici o umanitari.
Eppure il loro effetto non è da trascurare. L’aumento della temperatura globale sta infatti provocando un innalzamento del livello del mare e mareggiate sempre più frequenti e violente, ripercuotendosi inevitabilmente sulla disponibilità di acqua per uso alimentare e agricolo. Le popolazioni delle aree soggette a questa scarsità sono costrette a spostamenti via via più impegnativi.
I dati sull’innalzamento della temperatura del pianeta delineano quindi un quadro di profondi mutamenti climatici, che si riflettono conseguentemente sulla nostra vita e sulle nostre abitudini.
Secondo il glossario dell’organizzazione mondiale delle migrazioni (IOM) i migranti climatici sono infatti definiti come:
“Persone o gruppi di persone che, prevalentemente per ragioni di improvvisi o progressivi cambiamenti nell’ambiente che affliggono la loro vita o le loro condizioni di vita, sono costretti a lasciare la loro casa, o scelgono di farlo, sia temporaneamente che permanentemente, per muoversi dentro il loro paese o all’estero.”
Emerge però il primo carattere di differenza con le migrazioni “classiche”: la migrazione climatica è principalmente interna. Quando la migrazione è interna, le persone che si spostano sono sotto la responsabilità del proprio stato, non attraversano le frontiere e non cercano protezione da un paese terzo o a livello internazionale. È quindi molto più difficile definirne i flussi e le strategie per porvi rimedio.
La questione è tuttavia complessa e non facilmente delineabile: è difficile isolare le ragioni ambientali o climatiche, in particolare da quelle umanitarie, politiche, sociali, di conflitto o economiche.
Le regioni del pianeta interessate dal fenomeno sono principalmente tre: l’Africa Sub-Sahariana, l’Asia del Sud e l’America Latina, che oggi rappresenta il 55% della popolazione dei paesi in via di sviluppo. Entro il 2050 il cambiamento climatico sarà responsabile dello spostamento interno ai paesi di milioni di persone, circa 143 milioni secondo le stime della Banca Mondiale, pari al 2,8% della popolazione di queste regioni. La natura lenta del cambiamento climatico porterà ad altrettanto lente migrazioni, per cui non vi sarà un effetto shock immediato, ma crescenti problemi nel corso degli anni.
Le aree più povere e climaticamente vulnerabili saranno quelle colpite più duramente. Molte aree urbane e periurbane dovranno prepararsi a un forte influsso di persone, anche attraverso il miglioramento delle infrastrutture abitative e di trasporto, i servizi sociali e le opportunità di lavoro.
I responsabili politici possono prepararsi garantendo servizi di protezione sociale flessibili e includendo i migranti nella pianificazione e nel processo decisionale. Se ben gestito il processo migratorio può creare uno slancio positivo, soprattutto nelle aree urbane.
Vi sono vari esempi di strategie di adattamento locale di successo: investimenti in infrastrutture climatiche intelligenti, diversificazione delle attività generatrici di reddito, costruzione di sistemi di protezione finanziaria più reattivi per i gruppi vulnerabili. I programmi di riduzione della povertà e di protezione sociale rivolti alle aree rurali possono aiutare ad aumentare la capacità adattativa ai cambiamenti climatici, riducendo potenzialmente la necessità che le persone si muovano in difficoltà.
Per capire l’impatto del fenomeno nei diversi paesi lo studio della Banca Mondiale ha preso per riferimento tre paesi che, per collocazione geografica e caratteristiche morfo-climatiche saranno probabilmente soggetti alle migrazioni climatiche più consistenti: Messico, Bangladesh e Etiopia.
Questi dati dipingono uno scenario non proprio positivo, a fronte delle sfide che i governi di questi paesi dovranno affrontare nel futuro.
La migrazione interna per ragioni climatiche sarà una realtà, ma non deve diventare una crisi, se verranno prese misure concertate e mirate per prevedere e preparare meglio i suoi probabili effetti e sfruttare il suo potenziale. È importante sottolineare che le decisioni politiche prese oggi determinano la misura in cui gli effetti dei cambiamenti climatici saranno positivi per i migranti e le loro famiglie.
L’inattività significa perdere una grande opportunità, l’opportunità di riconfigurare in maniera appropriata dove, quando e in che modo vengono allocati investimenti pubblici.