La mobilità sociale è a rischio
Intervista a Dirk Van Damme
È cambiato il mondo e anche il mondo dell’istruzione è tenuto a cambiare, adeguandosi al ritmo e alle abitudini della contemporaneità. Troppo spesso l’istruzione si basa su modelli di trenta o quarant’anni fa. Serve una correzione di rotta, altrimenti rischia di perdere il suo ruolo fondamentale: essere un motore per garantire pari opportunità, correggere squilibri sociali di partenza e favorire la mobilità sociale.
Dirk Van Damme, capo della Innovation and Measuring Progress Division (IMEP), istituita presso il Directorate for Education and Skills dell’OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), è impegnato quotidianamente su questi temi. La struttura che dirige mappa e misura il cambiamento, produce ricerche e fornisce chiavi di lettura per invitare a riformare quello che non funziona.
L’impatto che l’istruzione ha sulla mobilità sociale sembra minore rispetto a qualche decennio fa. È davvero così?
La preoccupazione su questo tema è diffusa, anche se l’evidenza del processo non è pienamente chiara. Molto dipende anche dall’angolo da cui si osservano le cose. In generale, oggi è molto probabile che un giovane abbia titoli di studio migliori di quelli dei propri genitori. Eppure, ciò non si traduce automaticamente in maggiore mobilità sociale. Occorre comunque distinguere tra mobilità sociale assoluta e relativa. La prima è aumentata per gran parte della popolazione dei Paesi OCSE. Le condizioni di vita e lavoro di molte persone sono migliori rispetto a quelle dei genitori e dei nonni. La posizione nella piramide sociale, però, non per forza risulta più elevata e questa è la mobilità relativa: su questo, possiamo dire che in molti Paesi si assiste a una fase di stagnazione.
A cosa è dovuta?
Farei una premessa: se il livello di istruzione di una persona è basso, le possibilità di avere un buon lavoro e una vita migliore si assottigliano rapidamente. Possiamo dire che avere almeno un diploma secondario è una sorta di meccanismo di sicurezza sociale. I dati in nostro possesso indicano un declino a livello di salario e occupazione per chi ne è sprovvisto. Parallelamente, una laurea offre migliori chance di avere lavoro, salario e salute. Ma non è automatico che equivalga a un biglietto d’ingresso per godere di questi status e questi privilegi, in passato legati a una piccola parte della popolazione. Questo avviene anche perché i laureati sono di più, e c’è più competizione.
Benché personalmente mi ponga nel campo di chi vede le cose con un approccio ottimistico, e reputi dunque positivo il fatto che il grado di istruzione sia aumentato nel corso degli anni, non posso non osservare che la mobilità sociale relativa ristagni. Le strutture sociali sono cambiate rispetto a trenta o quarant’anni fa e sicuramente lo scenario vede aumentare le disparità sociali in molti Paesi. In questo periodo, l’1% più ricco della popolazione è diventato ancora più benestante, mentre la distribuzione della ricchezza ai livelli inferiori non funziona come dovrebbe. Tutto questo incide sulla capacità della scuola e del mondo dell’istruzione nel suo complesso di compensare questi dislivelli.
L’incisività della scuola, come fattore in grado di favorire l’ascensore sociale, dipende anche da un mancato adeguamento ai tempi che viviamo?
Ci sono cambiamenti drastici a livello demografico, o nella struttura delle famiglie, che stanno modificando profondamente il mondo in cui i bambini crescono. Crediamo che l’educazione debba evolversi di conseguenza, ma ciò non sta ancora avvenendo. Nella scuola si è ancora vincolati a idee fondate su una situazione ormai superata: c’è una discrepanza tra queste e la realtà. Per questo motivo, abbiamo lanciato il progetto “21th Century Children”. Servirà a capire meglio il modo in cui il mondo dei più piccoli è cambiato rispetto ai decenni precedenti, e a comprendere se i modelli educativi siano fuori tempo. Ma tengo a precisare che non abbiamo ancora risposte e che il nostro compito è solo quello della verifica.
Tra le cose che sono cambiate c’è la tecnologia: la sua presenza nella vita di tutti i giorni non aveva mai raggiunto questi livelli. Per la scuola la tecnologia è una risorsa? Può migliorare i processi di apprendimento e insegnamento?
All’OCSE non lavoriamo sulle opinioni, ma sui fatti. Ciò detto, credo che nonostante i grandi investimenti fatti sull’introduzione della tecnologia nelle scuole, non si è ancora riusciti a sfruttare i benefici che la stessa tecnologia può assicurare. Non è avvenuto ciò che è successo in altri settori, penso alla sanità. Un motivo sta nel fatto che l’investimento è stato troppo spesso sull’hardware: portare più computer nelle scuole non vuol dire migliorare i processi di apprendimento. Lo vediamo dai dati PISA (Programme for International Student Assessment). La relazione tra il numero di computer a scuola e i punteggi degli studenti non è direttamente proporzionale. Può persino avere un impatto negativo. Pertanto, occorre focalizzare l’attenzione su come la tecnologia può migliorare il processo di apprendimento, più che sul quanto. È necessario inoltre lavorare sulle qualità e sulle capacità dei docenti di fare uso degli strumenti tecnologici. Questo significa dare maggiore risalto alla parte “software”.
È cambiata anche la famiglia?
Il numero dei ragazzi che vanno a scuola senza aver avuto una colazione decente, o senza indumenti adatti, è cresciuto in questi anni. E non dipende solo dalla povertà. A volte gli alunni non hanno alle spalle una struttura familiare capace di garantire le cose di base. Le famiglie monoparentali, quelle separate o che hanno figli avuti da matrimoni o relazioni precedenti non sono più un’eccezione. Queste famiglie sono quelle più a rischio povertà, che faticano a combinare la necessità di avere un reddito dignitoso, di dare tempo per la famiglia ed essere responsabili per i figli. Nelle scuole ci si confronta sempre di più con situazioni del genere. Alcuni Paesi stanno pensando di diffondere linee guida per le famiglie o sistemi di sostegno che migliorino le loro capacità di gestire le responsabilità e gli obblighi verso i figli.
Nel mondo che cambia l’ascensore sociale dipende anche da ciò che si apprende fuori dalla scuola o dall’università?
Certo. Scuola e università sono solo un momento nel percorso di crescita e di conoscenza. Il nostro interesse per il tema dell’apprendimento permanente, tema che è sempre più manifesto, sta crescendo. Dato che una laurea non vale più come prima, nel senso che non garantisce automaticamente una buona carriera e una serie di standard sociali che ne conseguono, bisogna concentrarsi sull’offrire alle persone pari opportunità per potersi migliorare nell’arco della loro intera vita. E ciò va portato avanti tenendo conto del fatto che le disuguaglianze affliggono l’apprendimento permanente in misura maggiore rispetto all’impatto che hanno nel mondo della scuola.