Si fa presto a dire automobile
Senza conducente, ma anche iperconnessa, elettrica, ibrida, condivisa. Perché il futuro dell’auto non sarà più quello di una volta.
Il colpo è stato duro, ma l’industria dell’auto è riuscita a reggerlo. Nel 2016, secondo le stime dell’Oica (International Organization of Motor Vehicle Manufacturers), sono stati venduti 45 milioni e 794mila veicoli, tra privati e commerciali. Un aumento del 3 % rispetto al 2015.
Per quanto possa stupire, visto che la ripresa qui è più lenta, l’Europa è l’area dove si è registrato un maggiore aumento delle vendite. Le immatricolazioni sono state 15,1 milioni, contro le 14,2 dell’anno precedente. L’Italia, tra i paesi dell’UE, registra la variazione maggiore: 15,8%.
I numeri dimostrano che la domanda c’è e che l’offerta è ancora all’altezza, ma è l’idea stessa di auto che viene messa in discussione. Tecnologia, Internet, economia condivisa, sostenibilità e altre variabili stanno modificando le abitudini e i consumi delle persone, e avranno un impatto senza precedenti sul settore delle quattro ruote, centrifugandolo e costringendolo a ripensarsi.
Si parla molto della self-driving car, l’auto senza conducente. È in corso una vera a propria gara a chi riuscirà a lanciarla sul mercato aggiudicandosi il ruolo di first mover assoluto. (Nissan sarebbe pronta a lanciare le prime vetture a guida semi-automatica). Ma la rivoluzione passa anche da altri fattori. Uno, cruciale, è la connettività. Nel 2021 ci saranno 380 milioni di connected car in strada, riporta Business Insider. La connettività “trasformerà progressivamente l’auto in una piattaforma, consentendo a conducenti e passeggeri di accedere a servizi e informazioni mentre stanno viaggiando, o di dedicarsi ad altre attività”, si legge in un rapporto sul futuro dell’auto diffuso dalla società di consulenza McKinsey, intitolato Disruptive trends that will transform the auto industry.
L’aggettivo disruptive e il sostantivo disruption sono i più gettonati sulla stampa anglosassone per descrivere il futuro che attende l’automotive. Si azzarda già qualche stima. Da qui al 2030, secondo McKinsey, i profitti dei produttori potrebbero sfiorare i settemila miliardi di dollari: quasi il doppio rispetto al volume attuale di affari, tra vendite e servizi post-vendita. La quota riservata al car sharing (per esempio Blablacar), ride-hailing (il servizio di Uber), app e software potrebbe essere pari a 1,500 miliardi. Al momento, invece, rimane residuale. Ed è proprio qui che si gioca la partita. Il passaggio dal poco di oggi al tanto di domani va pensato, governato e messo a frutto.
Di certo, una rottura chiara è l’ingresso nel comparto dei giganti della tecnologia e l’investimento dei grandi marchi dell’auto su aziende innovative. Un articolo di Vox segnala alcuni patti stretti, in questo senso, solo nel 2016. C’è quello per la self-driving car tra Fiat Chrysler e Google, che ha aperto un centro ricerca a Detroit. BMW e Intel hanno sancito un accordo analogo, con la stessa ambizione. Ford ha creato una sussidiaria nella Silicon Valley. Altre partnership sono state siglate tra Toyota e Uber, e Apple e Didi Chuxing, la Uber cinese.
E qui c’è l’ombra di un paradosso. In teoria, Uber e i suoi competitor si pongono l’obiettivo di abbattere il numero di auto possedute privatamente nel mondo, e dunque di guastare un po’ gli affari dei big. Ma, si apprende sempre da Vox, “in un futuro segnato dall’uso on demand di auto, la chiave per il successo sarà quella di ottenere ordini da compagnie come Uber, Google e Zipcar”. Le vendite non subiranno crolli, si manterranno più o meno stabili. Molti analisti ne sono convinti.
Anche il settore delle assicurazioni si sta adeguando al nuovo scenario, offrendo nuove soluzioni in base a questi mutamenti, come riporta Market Watch.
Il Gruppo Generali, per esempio, nel 2015 ha acquisito la startup inglese MyDrive Solutions, uno tra gli operatori leader nella creazione di strumenti di data analytics per la profilazione degli stili di guida. L’obiettivo è quello di definire prodotti innovativi e tailor made per i clienti, nonché tariffe vantaggiose per gli assicurati più virtuosi.
Si studiano proposte anche nel settore finanziario, dato che l’auto è uno dei beni che più dipendono dalla concessione di prestiti. Deloitte, uno dei colossi globali della consulenza, ha cercato di tracciare una prospettiva.
L’impressione è che questo vortice si muoverà presto a velocità quasi incontrollabile. In realtà il cambiamento avverrà in maniera non uniforme. Nelle grandi città avrà ritmi più rapidi; in provincia sarà più lento. Nelle prime, sempre più persone rinunceranno a possedere un’automobile, affidandosi al car-sharing. Nella seconda, dove questi servizi si radicheranno con tempi più lunghi, ammesso che riescano a servire le diverse esigenze degli utenti, si continueranno a comprare vetture.
Il divario città-periferie si rivela pienamente nella strategia di un gigante come General Motors. Il gruppo americano punta su sostenibilità, tecnologia e rivoluzione dei consumi nei grandi centri urbani, ma nell’altra America continua a scommettere sulle vetture di grande cilindrata e con un impatto rilevante sull’ambiente.
E le auto elettriche o ibride, anch’esse ritenute un pilastro del nuovo equilibrio nel mondo dell’automotive (si parla di una quota di almeno il 30% sulle vendite globali nel 2030)? C’è ancora un abisso tra domanda e offerta. Vedi il caso della Cina, Paese che sta cercando di conciliare - dopo anni di sviluppo sfrenato - crescita e ambiente, progresso e salute. L’accelerazione su auto elettriche e ibride è notevole e il governo concede incentivi non trascurabili: quasi 8mila dollari per un’auto elettrica e circa 4mila per un’ibrida. Il mercato cresce. Ma ciò dipende ancora e in larga misura - secondo China Daily - più dall’intervento dall’alto dello Stato che dalla domanda di consumi alternativi dei cittadini.
La rivoluzione è alle porte. Cambierà l’approccio all’automobile e cambierà il modo di produrle. Come ha spiegato al recente salone di Detroit l’ad di Volvo, Hakan Samuelsson “le auto saranno prodotte a misura del cliente: è più redditizio anche per noi”. Ma, appunto, saranno ancora prodotte. Il nuovo prenderà forma su radici già esistenti. E proprio la trasformazione di Detroit ne è un esempio. “Se guardiamo al futuro, è chiaro che la Motor City continuerà a giocare un ruolo cruciale, tenendo assieme il meglio di Detroit e della Silicon Valley”, ha commentato di recente l’ad del progetto di Google sulla self-driving car, John Krafcik.
Anche nel nuovo secolo le quattro ruote continueranno a essere centrali nella società e fondamentali dell’economia. Ma il futuro dell’auto non sarà più quello di una volta.