Global warning
Il 2016 è stato l’anno più caldo dal 1880 e nel futuro si rischia un effetto domino
Scioglimento dei ghiacci, alluvioni lampo, sale nelle falde, desertificazione. Il 2016 è stato l’anno più caldo dal 1880. E nel futuro si rischia un effetto domino
“I cambiamenti climatici stanno avvenendo rapidamente e di recente abbiamo assistito a fenomeni meteorologici estremi. La Terra è come una minuscola imbarcazione che naviga nell'universo smisurato: se questa barca dovesse affondare, per l'umanità non ci sarebbe via di fuga”. Con queste parole Ban Ki-moon, ex segretario generale delle Nazioni Unite, accoglie Leonardo Di Caprio nella sede di New York. L'attore, da sempre sensibile alle tematiche ambientaliste, sta girando il documentario Before The Flood (visibile anche in italiano) con un obiettivo ben preciso: dimostrare al grande pubblico che il riscaldamento globale è reale e non è, come sostiene il neo presidente americano Donald Trump, “creato dai cinesi per rendere meno competitiva la manifattura americana”.
Le notizie sul global warming si susseguono di giorno in giorno. L'ultima in ordine di tempo arriva proprio da un'agenzia federale statunitense, la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA): il 2016 è stato l'anno più caldo da quando si è cominciato a registrare le temperature, ossia dal 1880. C'è un video della NASA che mostra in maniera inequivocabile come dal 1880 la temperatura media sia cresciuta fino a oggi di +1,1°C., “un cambiamento – precisa l'ente spaziale americano – in gran parte dovuto all'aumento nell'atmosfera di anidride carbonica e di altre emissioni causate dall'uomo”.
Il record del 2016 non è una casualità: gli ultimi tre anni sono stati i più caldi di tutti, un trend che – come ha sintetizzato Hans Joachim Schellnhuber del Potsdam Institute for Climate Impact Research - porta con sé conseguenze drammatiche. Prima fra tutte il restringimento dei ghiacci artici e antartici che, nel 2016, ha raggiunto le dimensioni minime dal 1979, anno dal quale si è iniziato a misurarne le superfici: lo scioglimento delle calotte polari unito all'espansione del volume dell'acqua (che cresce con l'aumentare della temperatura degli oceani) genera l'innalzamento del livello dei mari, a sua volta causa di inondazioni ed erosioni costiere. Nel suo Annual Global Climate and Catastrophe Report la multinazionale assicurativa AON sottolinea come nel 2016 i disastri naturali causati strettamente dal cambiamento climatico abbiano generato danni stimabili in 30 miliardi di dollari, la cifra più alta degli ultimi sedici anni, concludendo che “nei prossimi tempi le perdite economiche legate alle catastrofi climatiche aumenteranno”. Un vero problema per le assicurazioni, che si trovano sempre più in difficoltà nel gestire l'aumento del numero di eventi estremi legati al cambiamento climatico.
Secondo l'analisi di ClimateWise, un network di 29 grandi assicurazioni mondiali in seno alla University of Cambridge Institute for Sustainability Leadership, “in seguito all'aumentare dei rischi legati al clima – la frequenza di queste catastrofi è aumentata di sei volte rispetto agli anni Cinquanta - alcuni asset assicurabili stanno diventando inassicurabili mentre altri già assicurati vengono compromessi”.
L'Italia non è certamente immune dagli effetti del cambiamento climatico. A studiare il fenomeno ci sono associazioni no-profit (come Rete Clima), singoli scienziati (come il climatologo Antonello Pasini, che su Le Scienze tiene un blog seguitissimo), università (per la prima volta in Italia nell'anno accademico 2016/2017 l'Università di Pisa offre un corso di laurea in Climatologia) ed enti di ricerca finanziati dallo Stato come il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, fondato nel 2005. Anche attraverso gli studi che il CMCC compie sulle interazioni del sistema ambientale con la società, si capisce quanto in Italia già oggi le conseguenze del riscaldamento globale stiano avendo un impatto notevole. La lista delle conseguenze è una lunga catena di eventi legati l'uno all'altro, una sorta di drammatico domino a tratti imprevedibile. Si parte dalla temperatura, che sta crescendo a livello mondiale e che favorisce anche nella nostra penisola un aumento degli incendi, con l'obbligo da parte delle città di gestire le ondate estive di calore, ogni anno letali per migliaia di anziani (spesso l'unico rimedio è quello di invitare la popolazione a rifugiarsi per qualche ora al fresco dei centri commerciali).
Legata all'aumento di temperatura è la cosiddetta tropicalizzazione del clima nelle aree temperate: in sintesi, piove meno ma in maniera più violenta, anche in Italia. Le “bombe d'acqua”, le alluvioni lampo, possono arrivare anche a intensità dieci volte superiori alle piogge normali, e i danni collaterali di questi fenomeni estremi sono numerosi: strade, ponti, metropolitane e sistemi fognari sono sottoposti a notevoli stress, gli alvei fluviali antropizzati non riescono a sopportare il flusso improvviso e violento di un enorme volume d'acqua, e il numero di frane meteo indotte aumenta a dismisura. Entra in crisi l'intero sistema idrogeologico, già di per sé instabile, stremato da mesi di siccità e aggravato da abusivismo e scarsa manutenzione. A complicare ulteriormente la situazione è l'aumento, negli ultimi anni, delle trombe d'aria e dei Medicanes, unione delle parole “mediterranean” e “hurricane”: cicloni che colpiscono il Mar Mediterraneo con caratteristiche di intensità sempre più tropicali.
Purtroppo non è finita qui. L'innalzamento delle acque marine sta danneggiando gli ecosistemi costieri e minaccia le città portuali (pensiamo al tentativo di proteggere la laguna di Venezia attraverso il mastodontico progetto ingegneristico denominato Mose). Ma l'aumento dei livelli del mare unito ad altri fattori contribuisce anche all'erosione delle coste e alla risalita del cuneo salino, ossia la presenza di acqua marina lungo i tratti finali dei fiumi. Se cinquant'anni fa nel Delta del Po il cuneo salino penetrava per non più di tre chilometri, oggi il fenomeno si è riscontrato a venti chilometri dalla foce: un fenomeno preoccupante che rende più ricche di sale le falde acquifere, inaridisce l'ecosistema e toglie acqua alle attività agricole.
Erosione, cuneo salino, diminuzione media delle precipitazioni e aumento della temperatura sono fattori che contribuiscono, anche in Italia, alla perdita di superfici coltivabili: la Coldiretti, citando dati Ispra, sostiene che “dagli anni Settanta la superficie coltivata in Italia è diminuita del 28 per cento”. Il rischio desertificazione è particolarmente alto nelle regioni meridionali, in particolare Sicilia, Puglia e Basilicata, dove anche l'agricoltura sta cambiando: si è costretti a recuperare varietà dimenticate che hanno meno bisogno d'acqua e resistono meglio alla siccità, mentre si spostano progressivamente verso nord le coltivazioni di piante da frutto, cereali e vitigni. “Nell'Europa meridionale – fa sapere l'Agenzia europea dell'ambiente - le ondate di calore estremo e la riduzione delle precipitazioni e dell'acqua disponibile influiranno negativamente sulla produttività agricola. Si prevede che la produzione agricola sarà inoltre sempre più variabile di anno in anno, a causa di eventi meteorologici estremi e di altri fattori quali la diffusione di parassiti e malattie”.
Insomma, il riscaldamento globale sta avendo un lento ma progressivo impatto sull'intero ecosistema uomo-natura, sulla nostra cultura, sulle nostre abitudini, sulla nostra vita. E come ha spiegato l'ex presidente americano Barack Obama al New York Times, ciò che rende “di difficile comprensione il cambiamento climatico è che non si tratta di un evento catastrofico immediato. E' una problematica lenta, di lunga durata, che giorno per giorno la popolazione non si aspetta e non percepisce. Eppure questa è la minaccia a lungo termine più grande che il mondo dovrà affrontare”.
Per maggiori informazioni visita la sezione relativa al nostro impegno per l'ambiente e il clima.