Sono il fenomeno tecnologico “pop” degli ultimi anni. Partendo dall’originario impiego in campo militare per fini di spionaggio e bombardamento, i droni – velivoli radiocomandati con pilota remoto – hanno trovato oggi larga applicazione anche in campo civile, aprendo così una strada ricca di possibilità e rischi.
Era il 1916, nel cuore della Grande Guerra, quando fecero la loro prima apparizione Aerial Target e la “bomba volante” V1. Iniziava così la storia degli “Aeromobili a Pilotaggio Remoto” (APR), in grado di restare a terra o di posarsi su un veicolo vicino grazie a un radiocomando in grado di dirigerne i movimenti.
È soprattutto nell’ultimo biennio che il settore dei droni consumer è decollato. Si va dalle riprese video aeree, alle operazioni di monitoraggio, alle iniziative virali, come quella di Amazon Prime Air. A breve saranno lanciati nuovi progetti come i primi aeromobili postini. L’impiego dei droni è così ampio e diversificato da permettere una scelta adeguata a ogni livello di budget: si parte dalle poche centinaia di euro per i modelli basic fino ad arrivare a modelli full optional che richiedono veri e propri investimenti.
Le opportunità offerte dall’utilizzo dei droni sono innumerevoli. Sono già utilizzati dalle forze di polizia in diversi ambiti come, ad esempio, il monitoraggio delle attività della criminalità organizzata o le emergenze in caso di calamità naturali, la verifica dello lo stato delle strutture colpite da terremoti o altri disastri e la ricerca dei dispersi. Dal 2011 Stati Uniti e Messico li utilizzano in modo congiunto per controllare l’immigrazione clandestina.
Il loro impiego è regolamentato, per evitare di intralciare il traffico aereo o di interferire con gli strumenti di posizionamento dell’aviazione, tra i quali i radar. Negli Stati Uniti questo tipo di regolamentazione è promossa dalla FAA, in Europa il passo avanti più importante è stato compiuto con la Dichiarazione di Riga, mentre in Italia l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC) ha introdotto nel luglio 2015 una seconda versione del “Regolamento Mezzi Aerei a Pilotaggio Remoto", che divide i droni in due categorie in base al peso, con limitazioni differenti.
Tutti questi regolamenti vanno nella direzione giusta, ma non sono ancora del tutto esaustivi: mancano, ad esempio, delle precise indicazioni sui termini di violazione della privacy.
I droni in commercio sono dotati di potenti videocamere, sensori all’avanguardia e hanno sofisticate capacità di elaborazione dei dati. Per queste ragioni potrebbero essere manomessi a scopo di sabotaggio, dirottamento o furto di informazioni sensibili, come è stato dimostrato dall’azienda inglese Sensepoint. Le straordinarie capacità di ripresa estendono allo spazio aereo la possibilità, già offerta dagli smartphone, di registrare un filmato in pochi secondi senza dare nell’occhio, comportando così una serie di problemi legati al trattamento dei dati personali.
Se a Hollywood l’uso delle riprese effettuate dai droni non è ancora massiccio a causa dell’assenza di normative specifiche, i videoamatori si stanno invece sbizzarrendo, come dimostrano le riprese del relitto della Concordia, quelle dei cacciatori di frodo in Massachusetts (rivelatesi molto utili nella lotta al bracconaggio) o dell’isola abbandonata di Hashima, in Giappone.
Al momento quindi il problema principale legato all’utilizzo di droni per usi civili e commerciali è rappresentato dalla grande confusione sotto il profilo normativo. Ciò è stato osservato anche a livello europeo dall’Article 29 Data Protection Working Party, che nel giugno 2015 ha prodotto un report intitolato “Privacy and Data Protection Issues relating to Utilisation of Drones”. Una soluzione possibile potrebbe essere l’adozione di un approccio proattivo che implementi il concetto di privacy by design e introduca accorgimenti già in fase di progettazione.