Che fine ha fatto la realtà aumentata?
Da Google Glass a Microsoft HoloLens: la “rivoluzione AR” è alle porte?
Da Google Glass a Microsoft HoloLens: la “rivoluzione AR” è alle porte?
Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di realtà aumentata (o AR, augmented reality). Dall’hype generato – e in gran parte deluso – dai Google Glass, fino all’ossessione planetaria di quest’estate: Pokemon Go.
La realtà aumentata non è che “una tecnica attraverso la quale si aggiungono informazioni alla scena reale”. O, in altre parole, l’integrazione di un qualsiasi ambiente reale tramite oggetti virtuali. Non è da confondersi con la “virtualità aumentata”, che si ha quando, su uno sfondo virtuale, compaiono oggetti o persone fisiche che interagiscono dinamicamente e in tempo reale (pensiamo al Kinect di Xbox 360) o con la “realtà virtuale” vera e propria: un altrove nel quale l’utente è immerso e che esclude il mondo reale (per esempio i visori Oculus Rift).
Il dispositivo AR di cui si è parlato di più negli ultimi anni è senza dubbio Google Glass, un occhiale che visualizza informazioni e dati all’interno del campo visivo mediante l’impiego di un piccolo display, sistemato sopra l’occhio dell’utente. Ce ne siamo ormai accorti: il prodotto sta avendo una gestazione complessa e fatica a muovere gli ultimi passi che dovrebbero portarlo alla sospirata commercializzazione su larga scala, rimanendo a metà strada tra un prototipo per sviluppatori e un costoso gadget hi-tech.
Un discorso simile vale anche per il suo principale competitor, Microsoft HoloLens, che fa ricorso a ologrammi e il cui visore, basato sulla tecnologia Windows Holographic, è stato progettato in collaborazione con la NASA. C’è infine Sony SmartEyeglass, con un design più elementare, ma con funzionalità simili a quelle di Google Glass, con le sue lenti con tecnologia Holographic Waveguide per la visualizzazione delle informazioni. Ma come mai questi tre prodotti così promettenti stentano ancora a offrirsi ai consumatori?
Si tratta di concept ancora sperimentali e in via di perfezionamento, come può confermare la community geek che è stata coinvolta nelle fasi di progettazione per raccogliere feedback.
I possibili impieghi di questi prodotti però sono già sotto gli occhi di tutti, soprattutto per quanto riguarda l’ambito professionale: vigili del fuoco, addetti al traffico aeroportuale e personale ospedaliero, che potrà visualizzare, ad esempio, le cartelle cliniche dei pazienti senza interrompere le proprie attività.
Ed è proprio in questa logica più professionale che sono stati ripensati i Google Glass. Dopo aver deciso di terminare il Glass Explorer Program l’1 gennaio del 2015, infatti, i Google Glass Enterprise Edition sono stati ripensati, adattando le app per il mondo della produttività, con batterie più durature, un nuovo processore Intel, il supporto al Wi-Fi a 5 GHz e un migliore streaming di contenuti.
Naturalmente le potenzialità fino ad ora esplorate non sono che una piccola parte di ciò che la AR ha da offrire, anche per un pubblico consumer, che potrebbe gradire funzionalità come la traduzione di cartelli e scritte in tempo reale o la sovrapposizione delle indicazioni stradali sul parabrezza delle automobili. E poi c’è ovviamente il campo dell’intrattenimento: i videogame, come hanno dimostrato Pokemon Go, il più elaborato Ingress e in genere tutti i giochi interattivi che posizionano personaggi virtuali in giro per luoghi reali.
Non bisogna infatti dimenticare che il successo della AR, a differenza della realtà virtuale e della dimensione ludica tradizionale, sta in una formula che si allontana dal divertimento propriamente inteso (devertere, cioè allontanarsi, separarsi dal mondo per accedere, magari, ad altri mondi). Il mondo del gioco non è un mondo altro che suscita meraviglia per la sua stravaganza, ma il mondo che conosciamo, con in più un elemento imprevisto, una pellicola che si sovrappone alla realtà fornendoci qualcosa in più a partire però dallo stesso, familiare scorcio di strada.