Dai mercatini al barter pubblicitario
Dal 2008, in piena crisi economica, il baratto è al centro di numerosi studi e analisi a causa della sua crescente diffusione. In realtà, un ritorno di questa antica pratica dello scambio senza denaro si era già verificato negli anni ’80, con la crescita del settore pubblicitario. Il meccanismo del bartering ha origine in un concetto semplice: un’azienda che vuole investire in pubblicità vende i propri prodotti a un intermediario, che in cambio pianifica e acquista pubblicità per pari valore della merce ceduta. Gli importi delle fatture si compensano reciprocamente senza esborsi finanziari, e quindi con vantaggi fiscali.
“La pratica del barter”, spiega Giorgio Ferrari di MP7Italia, realtà leader nel barter pubblicitario, “funziona sempre, al di là della crisi. Funzionava negli anni ‘90, funziona a maggior ragione in un contesto di scarsa liquidità e di magazzini pieni”. E, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, le aziende che utilizzano il barter non sono soltanto quelle piccole e sotto capitalizzate, ma anche le grandi imprese che hanno giacenze in stock e prodotti dormienti.
Negli anni c’è stato chi ha deciso di andare oltre il settore delle pubblicità studiando un sistema che permettesse alle aziende di scambiarsi diverse tipologie di prodotti grazie a una piattaforma online. L’idea è venuta a Paolo Arnello, che si occupa da vent’anni di baratto multilaterale per le aziende. Nel 2011 ha fondato iBarter, un portale di oltre 700 aziende di tutte le categorie merceologiche. Il sistema prevede uno scambio dei propri prodotti o servizi con altri membri del circuito, senza movimentazione di denaro. “Se sono un produttore di bicchieri e ho un costo di produzione di 50 centesimi del bicchiere”, spiega Arnello, “quando lo devo commercializzare lo rivendo a 1 euro; quando devo acquistare qualcosa per la mia azienda e ho di fronte due o tre fornitori alternativi ed equivalenti, se uno mi propone di essere pagato con i miei bicchieri evidentemente mi conviene, perché mi costa la metà”.
Naturalmente questa tipologia di business è diffusa da tempo grazie ai siti internet dedicati al baratto tra privati. In Italia, per esempio, troviamo siti come coseinutili.it, barattopoli.com o zerorelativo.it. Il sito americano Swap.com divide gli oggetti da scambiare per categorie e permette di cercare l'oggetto desiderato per prossimità geografica. Il sito inglese Swapit.com è dedicato principalmente ai teenager, mentre Swapstyle.com è uno tra i tanti siti dedicati interamente al clothes swap, cioè al baratto di vestiti.
Non tutti gli scambi però si svolgono online. Gli swap party, nati a New York e oggi diffusi un po’ ovunque, sono la versione glamour dei mercatini di quartiere pensati per scambiare fumetti o figurine. Sono dedicati quasi interamente ai capi di vestiario e per questo si organizzano durante i cambi di stagione, in concomitanza con la riorganizzazione del guardaroba. Abiti, scarpe e accessori: un modo comodo di riciclare e rifarsi un armadio. Ma anche telefonini e piccoli elettrodomestici. Naturalmente tutto promosso con una massiccia campagna social.
Il riutilizzo di abiti e tessuti è così comodo che dal privato è sbarcato anche nei negozi. Negli anni, diverse catene internazionali di abbigliamento hanno lanciato iniziative in base alle quali, portando i propri abiti usati, si potesse ricevere in cambio un voucher da utilizzare per un nuovo acquisto. I tessuti dismessi sarebbero poi stati riadattati oppure distrutti per essere riutilizzati come fonte di energia.
Si prevede quindi un futuro florido per quella che, a ben vedere, è la transazione economica più antica del mondo.