Il lavoro che non c’è più, e quello che ci sarà
L’IA è diventata l’imputata numero uno nella rivoluzione professionale in corso. Tutti rischiano il posto, soprattutto chi ha studiato di più. Eppure l’impatto è (e sarà) talmente forte da generare nuovi consumi e quindi anche nuova occupazione
Nel 1983, Wassily Leontief, premio Nobel per l’economia, disse che il lavoro umano avrebbe fatto la fine dei cavalli dopo l’arrivo dell’automobile: «Prima si riduce, poi viene eliminato». Oltre quarant’anni dopo, la nuova ondata di previsioni catastrofiste ruota attorno all’intelligenza artificiale, la tecnologia che ha innescato nuove paure sulla sostituzione del lavoro umano da parte delle macchine, alimentando distopie di un «mondo senza lavoro», in cui i robot producono ogni cosa e gli algoritmi forniscono tutti i servizi necessari. Lo schema si è ripetuto più volte nella storia umana: da sempre il progresso industriale ha affascinato l’uomo, ma contemporaneamente lo ha impaurito. La verità, però, è che nell’incessante progresso tecnologico degli ultimi ottant’anni il mercato del lavoro si è trasformato e ritrasformato più volte. E probabilmente ora accadrà lo stesso. Perché se è vero che con l’IA alcune professioni diventeranno obsolete (come è già successo in passato), altre potrebbero invece trarne beneficio in termini di produttività e altre ancora nasceranno.
La questione centrale è capire come l’intelligenza artificiale si integrerà nel mondo del lavoro. La banca d’affari Goldman Sachs, ad esempio, ha previsto che 300 milioni di posti di lavoro nel mondo saranno esposti all’automazione dovuta all’intelligenza artificiale, precisando però che l’“integrazione” tra algoritmi e uomini sarà superiore alla “sostituzione”. Lo studio “Generative AI and Jobs: A global analysis of potential effects on job quantity and quality” dell’International Labour Organization (Ilo) spiega inoltre che l’intelligenza artificiale generativa ha maggiori probabilità di aumentare i posti di lavoro anziché distruggerli, automatizzando alcune mansioni e creando nuove opportunità professionali.
E molto dipenderà dalle competenze di cui saranno dotati i lavoratori coinvolti. Secondo uno studio dell’AI-Enabled ICT Workforce Consortium, di cui fanno parte giganti della tecnologia come Cisco, Google, Microsoft e Intel, con il miglioramento degli strumenti di intelligenza artificiale, «alcune competenze acquisiranno importanza (come l’etica e l’alfabetizzazione dell’Ai), mentre altre potrebbero diventare meno rilevanti (gestione tradizionale dei dati, creazione di contenuti, manutenzione della documentazione, programmazione)». Ma l’87% dei manager intervistati si aspetta che i profili lavorativi vengano ampliati, anziché sostituiti. Quello che serve, spiega il rapporto, è avviare con urgenza iniziative di aggiornamento e riqualificazione dei lavoratori. Lo devono fare le aziende, ma serviranno anche risorse pubbliche.
DATI: IA INDEX 2024 (STANFORD UNIVERSITY)
Funzioni più comuni dell'IA nelle aziende
Non siamo ancora in grado di misurare bene la forza dello tsunami IA sul mondo del lavoro, ma sono tanti quelli che hanno iniziato a farlo. E, un po’ a sorpresa, si comincia intuire che il catastrofismo non è il modo corretto di leggere la realtà.
Personalizzazione dei servizi
Redazione documenti, bandi, rapporti
Creazione campagne di marketing
L’impatto sulle mansioni principali del lavoro nelle aziende generato dall’arrivo dell’IA.
Una mappa
Secondo l’“Artificial Intelligence Index Report 2024” dell’Università di Stanford, le funzioni in cui l’IA è più comunemente usata nelle aziende sono due: l’automazione dei contact center con gli assistenti virtuali (26%), seguita dalla personalizzazione dei servizi (23%). L’IA generativa è invece più usata dai lavoratori per generare bozze iniziali di documenti (9%), progettare campagne di marketing personalizzato (8%), riepilogare testi lunghi (8%) e creare immagini o video (8%).
In Italia, dove il mercato dell’IA nel 2023 è cresciuto del 52% raggiungendo il valore di 760 milioni di euro, secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano la quota più significativa del mercato è legata a soluzioni per analizzare ed estrarre informazioni dai dati (29%). Il 27% è per progetti di interpretazione del linguaggio, scritto o parlato; il 22% per algoritmi che suggeriscono ai clienti contenuti in linea con le preferenze; il 10% analisi di video e immagini.
In questo contesto, nel mondo la maggiore domanda di posti di lavoro in cui sono richieste competenze legate all’intelligenza artificiale si è registrata nel 2023 negli Stati Uniti, Spagna e Svezia. Ma i Paesi che hanno avuto i maggiori tassi di assunzione per professioni legate all’IA sono Hong Kong, Singapore e Lussemburgo. La principale skill richiesta è la capacità di gestione del machine learning, seguita da interazione con l’IA e Natural Language Processing.
L’IA skill penetration rate, tasso di penetrazione delle competenze in IA, dell’Università di Stanford segnala l’intensità della richiesta di queste competenze nelle occupazioni in tutto il mondo. Per il periodo dal 2015 al 2023, i Paesi con i tassi di penetrazione delle competenze IA più elevati sono stati l’India (2,8), gli Stati Uniti (2,2) e la Germania (1,9). Negli Stati Uniti, la penetrazione di queste competenze è stata 2,2 volte superiore alla media globale nello stesso insieme di occupazioni. Nella top 15, l’Italia si trova al tredicesimo posto con un tasso medio all’1,08%. Ma con una differenza sostanziale tra l’1,10 degli uomini e lo 0,46 delle donne.
Sopra: nonostante i progressi mirabolanti della robotica, siamo indietro nell’emulazione dei lavori più fisici
In media sette lavoratori su dieci sono esposti all’impatto dell’IA. Tuttavia il monitoraggio umano in ambiti come medicina e giustizia resta sempre necessario.
Come cresce l’IA
Secondo il monitoraggio dei ricercatori di Stanford, l’intelligenza artificiale ha superato nel 2023 le prestazioni umane in molti ambiti, tra cui la classificazione delle immagini, il ragionamento visivo e la comprensione testuale di base. Eppure resta ancora molto indietro per compiti più complessi, come le soluzioni matematiche di livello avanzato, il ragionamento visivo basato sul senso comune e la pianificazione.
L’area di interpretazione, comprensione e generazione del linguaggio, scritto o parlato, in cui rientrano chatbot ed Npl (Natural Language Processing), è quella che ha fatto maggiore scalpore nel grande pubblico. Modelli più sviluppati, come ChatGtp-4 di OpenAI e Gemini di Google, permettono tra l’altro di generare una prosa fluente e livelli elevati di comprensione del linguaggio. Anche con input diversi dalla parola scritta, come immagini e audio.
Ma nonostante i progressi, i modelli linguistici di grandi dimensioni (Large Language Model), che alimentano questi software, molto spesso producono ancora errori o informazioni false. Per cui, suggeriscono da Stanford, resta sempre necessario il monitoraggio umano, soprattutto nei settori della medicina e della giurisprudenza, in cui queste tecnologie sono maggiormente utilizzate per prendere decisioni importanti.
Guardare alle mansioni
Nel settore della logistica l’IA è già usata per ottimizzare la gestione degli spazi nei magazzini.
Come spiega il World Economic Forum, sostituire i lavoratori con l’intelligenza artificiale è quindi più difficile di quanto sembri perché «i lavori sono un insieme di compiti e un software potrebbe non essere in grado di svolgerli tutti senza problemi».
L’analisi migliore da fare riguarda dunque le mansioni che l’intelligenza artificiale è in grado di svolgere, in modo da capire quali professioni potrebbero subire maggiori effetti dalla sua introduzione. Un gruppo di ricercatori ed economisti italiani – Guido Baronio, Antonio Dalla Zuanna, Davide Dottori, Elena Gentili, Giovanna Linfante e Luca Mattei – si è concentrato proprio sulle abilità umane che vengono utilizzate nelle varie professioni, per stabilire il grado di esposizione all’intelligenza artificiale.
Il concetto di esposizione – spiegano – non implica la sostituzione, ma si intende più in generale come una «interrelazione» che può tradursi anche in un rapporto di complementarità con possibili vantaggi in termini di maggiore produttività del lavoratore.
In questo contesto, proprio perché l’intelligenza artificiale è più connessa con le abilità cognitive, le occupazioni più esposte sono quindi quelle dove è maggiore il loro utilizzo. Ad esempio, per svolgere la professione di avvocato è necessario saper «ordinare le informazioni». Poiché l’IA è in grado di interagire con questa abilità in misura elevata, un avvocato viene considerato come molto esposto all’intelligenza artificiale, almeno per questa mansione.
Facendo la media dell’esposizione delle mansioni per ciascuna professione, i ricercatori hanno calcolato che in Italia oltre sette lavoratori su dieci (poco più di 15 milioni su circa 21,5 milioni) svolgono professioni potenzialmente interessate dall’introduzione dei sistemi di intelligenza artificiale. Per quasi 7 milioni, pari a un terzo dell’intera platea degli occupati, l’esposizione sarà elevata.
L’aspetto innovativo di questa tecnologia è che sono i lavoratori più scolarizzati a essere più esposti al cambiamento tecnologico. I soggetti in possesso di un titolo di studio universitario registrano infatti un’esposizione media o elevata nel 95% dei casi. Particolarmente significativa è la porzione di occupati altamente esposti nei settori dei servizi, pubblica amministrazione, informazione e comunicazione, attività finanziarie, assicurative e di istruzione, sanità e altri servizi sociali. E poiché le donne sono occupate in questi comparti nel 37% dei casi contro il 17% degli uomini, sono le lavoratrici che hanno un maggior livello di esposizione.
Ma non sono solo le professioni altamente qualificate a essere più interessate. Una percentuale di esposizione alta si registra infatti tra le professioni impiegatizie, caratterizzate da livelli elevati di «ibridazione uomo-computer».
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro è probabile che l’impatto maggiore si verificherà nei Paesi a reddito alto e medio-alto a causa di una quota maggiore di occupati in posizioni impiegatizie e amministrative, le più esposte a essere integrate dall’intelligenza artificiale.
Ma non si tratta necessariamente di sostituzione. «Le professioni più esposte potrebbero essere in grado di sfruttare forme di complementarità per aumentare la propria produttività e quindi il salario», si legge nella ricerca. «Per questo motivo è importante monitorare non solo il rischio di una diminuzione delle assunzioni per le figure professionali più coinvolte, ma anche l’andamento dei redditi, soprattutto nel settore dei servizi».
Tutto dipenderà da che tipo di «convivenza» sapremo costruire con questa innovazione. E dunque dalle competenze che sapremo mettere in campo per sfruttare al meglio queste tecnologie, magari lasciando all’automazione le mansioni più elementari e concentrandoci sugli aspetti creativi del nostro lavoro.
L’intelligenza artificiale, spiegano dall’Ilo, potrebbe farci guadagnare tempo e valorizzare ancora di più l’apporto umano al lavoro, riducendo il tempo impiegato nelle attività di routine e focalizzando le giornate su compiti a maggiore valore aggiunto. Gli algoritmi non prenderanno le decisioni finali su un contratto o un processo in tribunale. Ma potranno fornire testi di base, creando velocemente contenuti da dati che già esistono. È per questo, quindi, che i lavori che richiedono un pensiero critico potranno diventare più preziosi.
Come va la convivenza
Quello che viene fuori dagli studi è che, in effetti, l’intelligenza artificiale consente ai lavoratori di diversi settori di completare le attività più rapidamente e produrre un lavoro di qualità superiore.
Una ricerca di Microsoft, che ha confrontato le prestazioni dei lavoratori che utilizzano Microsoft Copilot o Copilot di GitHub con quelli che non lo fanno, ha rilevato che i primi hanno completato le attività in un tempo inferiore dal 26% al 73% rispetto ai loro colleghi senza accesso all’intelligenza artificiale.
Allo stesso modo, uno studio della Harvard Business School ha rivelato che i consulenti con accesso a ChatGpt-4 hanno aumentato la loro produttività del 12,2%, la velocità del 25,1% e la qualità del loro lavoro del 40%. Il National Bureau of Economic Research ha evidenziato invece che gli addetti dei call center che utilizzano l’intelligenza artificiale gestiscono il 14,2% in più di chiamate all’ora rispetto a quelli che non la utilizzano. E lo stesso si è visto nel mondo degli avvocati: l’impatto dell’intelligenza artificiale nell’analisi legale ha mostrato che i team con accesso ChatGpt-4 hanno migliorato significativamente l’efficienza e hanno ottenuto notevoli miglioramenti di qualità in vari compiti, in particolare nella redazione di contratti.
L’aspetto sorprendente che emerge dagli studi, inoltre, è che l’accesso all’intelligenza artificiale sembra ridurre il divario di prestazioni tra i lavoratori poco qualificati e quelli altamente qualificati. Secondo lo studio della Harvard Business School sulle attività di consulenza, i partecipanti con titoli di studio più bassi hanno mostrato un miglioramento del 43%, mentre i partecipanti con competenze più elevate hanno mostrato un aumento del 16,5%. Sebbene i lavoratori più qualificati che utilizzano l’intelligenza artificiale abbiano comunque ottenuto risultati migliori rispetto ai loro colleghi meno qualificati, la disparità di prestazioni è stata notevolmente inferiore quando è stata utilizzata l’intelligenza artificiale.
I DATI DEL POLITECNICO
Crescita del mercato dell’IA nel 2023 in Italia
Secondo l’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, la quota più significativa di un mercato cresciuto del 52%, è legata a soluzioni per analizzare ed estrarre informazioni dai dati. Altri usi riguardano: attività di organizzazione e gestione degli stoccaggi o di marketing personalizzato.
Algoritmi che suggeriscono ai clienti contenuti in linea con le preferenze
Attività di interpretazione del linguaggio (scritto o parlato)
Analisi di video e immagini
Il lavoro si trasforma, non si distrugge
Secondo il World Economic Forum, bisogna allora guardare a quanto sta accadendo con una lente a lungo termine. Quello di cui non si tiene conto – hanno scritto Philipp Carlsson-Szlezak e Paul Swartz – è che la tecnologia è una «forza intrinsecamente deflazionistica». Quando hanno un impatto ampio sulla vita di tutti noi – come si prevede per l’IA – le tecnologie riducono costi e prezzi, facendo aumentare i redditi reali dei consumatori e la domanda di nuovi beni e servizi. Creando quindi, a cascata, nuova occupazione.
La dimostrazione più evidente riguarda quanto accaduto nell’industria alimentare. Alla fine del diciannovesimo secolo, quasi la metà degli americani lavorava in una fattoria e spendeva più del 40% del proprio reddito in cibo. Nel corso dei successivi 150 anni, l’introduzione delle macchine ha fatto sì che solo circa l’1% degli americani lavori oggi in un’azienda agricola. Mentre i budget alimentari sono scesi a circa il 12% del reddito.
I prezzi più bassi del cibo hanno portato a guadagni di reddito reale. I consumatori spendono meno in cibo e utilizzano lo spazio extra nei loro budget per il consumo di nuovi beni e servizi, creando nuova occupazione.
È vero, il processo è sempre accompagnato inizialmente da perdite di posti di lavoro in alcuni ambiti, ma contemporaneamente è accompagnato dalla creazione di nuovi posti di lavoro. Lo stesso accadrà con l’intelligenza artificiale.
Secondo il libro bianco del World Economic Forum, “Jobs of Tomorrow: Large Language Models and Jobs”, che ha esaminato più di 19mila mansioni per 867 diverse occupazioni, i posti di lavoro più a rischio estinzione sono gli sportellisti di banca, gli addetti ai servizi postali, i cassieri e gli impiegati di data entry. Ma si creeranno anche nuovi ruoli, tra cui quelli di sviluppatore di intelligenza artificiale e machine learning, analisti di business intelligence, progettisti di interfacce, specialisti in etica e governance dell’IA. Le professioni che rimarranno relativamente inalterate saranno quelle nel settore istruzione e formazione, orientamento e consulenza di carriera.
«Sembra improbabile che l’IA porrà fine a una storia di rinnovamento e aggiustamento del mercato del lavoro», spiegano dal Wef. Difficile quindi che per gli esseri umani si prospetti “la via del cavallo” prevista da Leontief. Un risultato molto più probabile è un aumento graduale della produttività e della ricchezza, scandito però dalle perdite di lavoro, ricollocazioni e riqualificazioni delle competenze che abbiamo già visto in qualsiasi trasformazione economica.
E l’intelligenza artificiale potrebbe essere anche una risposta al crescente invecchiamento della popolazione. Se le aziende fanno fatica a trovare dipendenti, aumenterà la domanda di tecnologie sia per far fronte alla carenza di personale ma anche per migliorare la produttività dei lavoratori senior che rimarranno nelle aziende. Il mondo non sarà senza lavoro, ma funzionerà in modo diverso.
Lidia Baratta
Business editor de Linkiesta.it, realizza tutte le settimane una newsletter dal titolo Forzalavoro. Ha collaborato con D di Repubblica, L’Espresso, La Stampa e Vice ed è tra i conduttori radiofonici di Prima Pagina (RadioTre).