La leadership si è evoluta. I leader non altrettanto
Il percorso verso una catena di comando che adotti empatia, senso di protezione e autenticità è iniziato, ma il modello del capo dominante è ancora troppo forte, anche tra i dipendenti. E questo rappresenta un rischio, in primis per le aziende
L'evoluzione della leadership negli ultimi dieci anni riflette uno slancio verso una maggiore adattabilità, innovazione e collaborazione. Tuttavia, il persistente deficit di intelligenza emotiva e di soft skills come empatia, autenticità e trasparenza evidenzia un’area critica che necessita di crescita e di un approccio equilibrato.
«Sono frustrata», mi ha confessato un’amica, una giovane donna che lavora in un’azienda vecchio stile.
La venticinquenne si è laureata da poco e voleva intraprendere una carriera creativa. L’affitto e le altre spese di sostentamento a New York City le imponevano di trovare rapidamente un lavoro. Così ha trovato lavoro come responsabile operativa in un’organizzazione con oltre 200 dipendenti.
La buona notizia era che il ruolo non comportava troppe difficoltà. Il lavoro amministrativo di base non richiedeva grandi competenze tecniche. La cattiva notizia: il direttore (il suo diretto supervisore) non era un buon leader. La comunicazione era discontinua e talvolta ostile. Le responsabilità non erano chiaramente definite. Il riconoscimento era inesistente. «Sto cercando un altro lavoro», mi ha detto «ma è un’impresa». Tuttavia, ha deciso di non demordere e di sopportare lo stress quotidiano di dover interagire con un leader che eccelle nel suo lavoro, ma che non riesce a ispirare il personale a dare il meglio di sé.
Nella smania di sfruttare l’IA generativa, i leader dimenticano che conta di più l’umiltà del sapere di non avere risposte. E che queste devono essere individuate in modo collaborativo
Questa lavoratrice all’inizio della propria carriera non è sola. Un’indagine condotta da Culture Amp ha rilevato che, negli ultimi due anni, si è registrato un calo globale della fiducia dei lavoratori nei confronti dei leader di livello superiore e il 44% dei lavoratori a livello globale sta pensando di cercare lavoro altrove. «I dipendenti riferi scono che i leader sono meno propensi a evidenziare l’importanza delle persone per il successo dell’azienda, sono meno capaci o disposti a tenere le persone formate e faticano a trasmettere una visione motivante», secondo l’analisi dei dati pubblicata sul Times da Lynda Gratton, docente di management alla London Business School.
Questo è in contrasto con ciò che i lavoratori più giovani dicono di desiderare. Uno studio della Regent University segnala una tendenza più ampia: il desiderio di avere leader emotivamente intelligenti. «I leader devono dare priorità alle esigenze del proprio team e operare con trasparenza e coerenza nella comunicazione. I leader devono agire adottando un’autentica mentalità di “guida attraverso l’esempio”, che consente di ottenere un’effettiva adesione e costruzione della lealtà nel processo».
Continuare a dipendere da un leader che non dedica attenzione e tempo a mostrare le soft skills che i lavoratori dicono di desiderare è dovuto in parte a un mercato del lavoro sempre più ristretto, con licenziamenti che interessano quasi tutti i settori, e all’onere finanziario derivante dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari. Secondo le stime, l’anno scorso il tasso di inflazione globale ha sfiorato il 7%, l’aumento più consistente dal 1996.
I leader che avevamo
Un decennio fa, questo non sarebbe stato un problema. I lavoratori più anziani erano abituati a un approccio dall’alto verso il basso, in cui le direttive arrivavano dalle alte sfere della dirigenza ai ranghi inferiori. La leadership di comando e controllo era la norma, con leader che enfatizzavano la propria autorità, la risolutezza e l’efficienza operativa.
Per alcuni leader i profitti avevano la precedenza sulle persone e l’etica era del tutto ignorata. Ricordo un reportage sul caso Volkswagen: quando la casa automobilistica tedesca ha installato un software destinato a eludere i test sulle emissioni, il carattere e lo stile di gestione dell’amministratore delegato Martin Winterkorn sono stati messi in discussione. Sebbene Winterkorn abbia affermato di non essere a conoscenza della tecnologia in questione, si è preferito descriverlo come un perfezionista che puntava ad assicurarsi il primo posto tra i produttori di auto a livello mondiale. Mentre l’accaduto meritava probabilmente un’analisi delle criticità generate dal suo comportamento.
Nel 2015, Martin Shkreli, fondatore ed ex amministratore delegato della Turing Pharmaceuticals e autoproclamatosi “Robin Hood”, è stato arrestato per frode finanziaria e si è poi dimesso dal suo incarico. La startup Theranos di Elizabeth Holmes è stata oggetto di indagini che hanno portato al fallimento dell’azienda, anche se entrambi si sono affidati impunemente alla loro discutibile leadership.
Contemporaneamente, mentre le organizzazioni si confrontavano con l’ascesa dell’era digitale, dei social media e di una forza lavoro più informata e impegnata, il paradigma ha iniziato a cambiare.
Nel 2014, Tim Cook è stato nominato dalla CNN miglior CEO dell’anno per la sua leadership in Apple. Quell’anno Cook ha presieduto a un aumento del 40% delle azioni dell’azienda, mostrando come Apple potesse innovarsi anche dopo la morte di Steve Jobs. In particolare, la sua nomina ha coinciso con un coming out. E in un articolo su Bloomberg Businessweek Cook si è definito orgogliosamente gay e ha raccontato di aver capito come ispirare altri membri della comunità LGBTQ.
Nel 2015 la rivista Time ha nominato l’allora cancelliere tedesco Angela Merkel persona dell’anno (prima donna a ricevere questa nomina in 29 anni). Quell’anno la cancelliera aveva permesso a rifugiati e migranti di chiedere asilo in Germania, quando molti altri Paesi stavano chiudendo le frontiere. Secondo le stime, il numero di persone entrate nel Paese è stato di 1 milione entro la fine di quell’anno.
Nel 2016, Hamdi Ulukaya, amministratore delegato di Chobani, si è offerto di concedere ai dipendenti azioni della società - una strategia non inedita, ma che ha permesso ai lavoratori della giovane azienda di trarre profitto da una IPO, ovvero un’azienda in fase di quotazione. Si è inoltre impegnato a fornire a tutti i tipi di lavoratori un’opzione di impiego, offrendo un posto di lavoro anche ai rifugiati. Il 2018 ha visto l’ascesa della leadership attivista, mentre i vertici aziendali hanno valorizzato i loro marchi affiancandoli alle questioni sociali. L’allora amministratore delegato di Patagonia Rose Marcario si è impegnata a restituire 10 milioni di dollari di sgravi fiscali alle organizzazioni ambientaliste di base, l’ex amministratore delegato di Levi’s Chip Bergh, che ha guidato l’azienda attraverso un drastico cambiamento, e il fondatore di TOMS Blake Mykoskie, pioniere del modello “buy one give one”, hanno preso una netta posizione sul controllo delle armi in America.
Le competenze di cui i leader hanno bisogno ora
Questi sono solo alcuni esempi di come i leader nell’ultimo decennio abbiano risposto all’esigenza di essere più flessibili, agili, collaborativi e stimolanti. Quando la pandemia ha dato il via alla diffusione del lavoro a distanza, si è reso necessario uno stile di leadership ancora più flessibile e inclusivo. I leader si trovano a muoversi in reti di relazioni complesse e a gestire team sempre più eterogenei, distribuiti su diversi fusi orari e appartenenti a diverse culture.
Inoltre, l’ascesa del processo decisionale basato sui dati ha portato a una maggiore attenzione verso le capacità analitiche. I leader devono sfruttare i big data per prendere decisioni strategiche e ottenere un vantaggio competitivo. L’integrazione dell’intelligenza artificiale e dell’apprendimento automatico nei processi aziendali ha ulteriormente complicato il panorama della leadership, richiedendo ai capi non solo di comprendere queste tecnologie, ma anche di anticiparne le implicazioni per le loro organizzazioni.
Non stupisce, quindi, che dare priorità alla lungimiranza, all’innovazione e alla capacità di ispirare e motivare gli altri sia una necessità. Anche l’intelligenza emotiva (EQ o EI, come viene talvolta chiamata), termine coniato nel 1990, ha iniziato a evolversi in una competenza degna di nota nel corso degli ultimi dieci anni, come riferiscono varie ricerche accademiche.
Mentre molti leader si arrovellano per sfruttare al meglio l’intelligenza artificiale generativa come ulteriore strumento competitivo dei team, Amy Edmondson, docente di Leadership alla Harvard Business School, sostiene che i tratti più importanti della leadership siano il coraggio e l’umiltà. «Il coraggio di affrontare le sfide - concrete e interpersonali - che ci attendono», mi spiega Edmondson in un’intervista. «E l’umiltà di rendersi conto di non avere le risposte, che devono essere individuate in modo collaborativo», aggiunge.
Secondo la Edmondson, la posta in gioco non è mai stata così alta. Nel 2014 i leader potevano essere validi, o almeno essere considerati tali dagli altri, grazie a un maggior grado di autoassoluzione, spavalderia e persino arroganza. Potevano anche cavarsela giocando sul sicuro, senza correre rischi che avrebbero potuto mettere a repentaglio la loro posizione. Ora i leader devono possedere “l’umiltà di rendersi conto che la leadership non riguarda il loro successo personale, ma fa la differenza per un’organizzazione, un Paese o il mondo intero”.
Il deficit persistente di soft skills
Leadership collaborativa: gli studi stanno dimostrando che un atteggiamento meno dominante garantisce alle aziende maggiore efficienza e soddisfazione dei team.
Il coraggio e l’umiltà, insieme all’empatia, all’autenticità e alla trasparenza, sono spesso considerati tratti essenziali per i leader moderni, nonché aspetti costitutivi di un’elevata intelligenza emotiva. Eppure molti sono ancora carenti in queste aree. La società globale di consulenza manageriale Korn Ferry ha rilevato che solo il 22% dei 155.000 leader possiede una forte intelligenza emotiva.
Empatia: la capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri è costantemente supportata dalla ricerca. I leader empatici possono costruire team più forti e coesi, aumentare la soddisfazione dei dipendenti e ottenere risultati migliori in termini di organizzazione.
Tuttavia, molti leader fanno tuttora fatica a manifestare un’autentica empatia. Le pressioni esercitate dal processo decisionale ad alto rischio e l’attenzione ai risultati finanziari spesso mettono in secondo piano la necessità di entrare in contatto con i dipendenti a livello personale. Un rapporto pubblicato su Harvard Business Review rivela un divario tra il 78% dei senior leader che riconoscono l’importanza dell’empatia e il 47% che ritiene che le loro aziende la pratichino effettivamente.
Autenticità: i leader autentici alimentano la fiducia e il rispetto, elementi cruciali per la costruzione di solide culture organizzative e per il successo a lungo termine.
Gianpiero Petriglieri, professore associato di comportamento organizzativo all’INSEAD (Institut européen d’administration des affaires), ha condotto ricerche e insegna che cosa significa e che cosa occorre per diventare un leader. Petriglieri ritiene che nei luoghi di lavoro attuali le persone instaurino «legami profondi con il lavoro ma affiliazioni deboli alle organizzazioni, e che l’autenticità e la mobilità abbiano sostituito la lealtà e la progressione quali segni distintivi di virtù e successo».
Tuttavia, in un’intervista via Zoom, Petriglieri mi ha riferito che se si analizza la leadership nei vari settori, è possibile ricondurla a un “modello dominante”. Secondo Petriglieri, si tratta di una persona che gode di grande visibilità, che attira l’attenzione e che esercita la sua influenza. Spesso sono narratori di successo piuttosto che leader autentici.
La pressione esercitata dal dover mantenere un’immagine pubblica curata e dal doversi destreggiare in un panorama politico complesso può indurre i leader a mostrare una facciata piuttosto che il loro vero io. Questa discrepanza tra il personaggio pubblico e la realtà privata può minare la fiducia e creare disillusione tra i membri del team. Eppure i lavoratori continuano a elevarli perché, come dice Petriglieri, abbiamo una «visione romantica del dominio».
Trasparenza: i leader che sono aperti e chiari sulle decisioni, sui processi e sulle intenzioni, favoriscono un ambiente di fiducia e di responsabilità, in cui i dipendenti si sentono informati e coinvolti nel processo decisionale. In un’epoca di crescente domanda di responsabilità sociale dell’azienda e di comportamento etico, costruire la fiducia attraverso la trasparenza è più importante che mai.
Una ricerca del MIT (Massachusetts Institute of Technology) dimostra che la fiducia sul posto di lavoro può offrire un vantaggio competitivo: porta a un aumento del 260% della motivazione, a una riduzione del 50% del turnover e del 41% del tasso di assenze.
La tendenza a nascondere le informazioni, sia per proteggere dati proprietari che per evitare conversazioni complesse, può generare una percezione di disonestà o di evasione. Questa mancanza di trasparenza può erodere la fiducia e ostacolare l’efficacia dell’azienda.
Non sempre è intenzionale. Alcuni leader non comprendono appieno le sfumature del concetto di trasparenza. Kieran Snyder, Chief Scientist Emeritus, cofondatore della piattaforma AI Textio e fondatore di nerdprocessor. com, ritiene che la comunicazione e l’adeguata trasparenza siano le pietre miliari di una leadership efficace in qualsiasi contesto.
«Questo non significa che tu, come leader, debba condividere ogni singolo pensiero che ti passa per la testa con ogni singolo interlocutore. Nessuno vuole lavorare per qualcuno di imprevedibile e caotico ma significa comunicare in modo onesto e schietto, sia che le notizie siano buone, cattive o insolite», sostiene Snyder, e «Si crea fiducia quando le persone sanno di poter contare su di voi in quanto a sincerità e fermezza».
I leader che abbiamo
Le soft skills come la comunicazione, la trasparenza e l’autenticità possono essere associate alla leadership trasformativa? Secondo un sondaggio condotto da LHH, fornitore globale di soluzioni per le risorse umane, quasi la metà (44%) ha dichiarato che l’intelligenza emotiva è più importante quando si tratta di guidare i team nei momenti di cambiamento.
Anche la professoressa Edmondson di Harvard ritiene che queste caratteristiche siano essenziali affinché la leadership abbia un impatto trasformativo. «Leadership significa fare le cose attraverso gli altri. I leader non fanno e non possono fare da soli il lavoro necessario per raggiungere gli obiettivi di trasformazione. Devono invece ispirare e coinvolgere gli altri nel duro lavoro che li attende. L’unico impatto di un leader risiede nella sua capacità di coinvolgere i cuori e le menti degli altri, e questo ha a che fare con la comunicazione».
La Edmondson afferma quindi che «l’autenticità può funzionare solo se si è genuinamente dotati di un senso di decoro e di generosità di spirito. Se il vostro io autentico è egoista, menefreghista o incurante, è improbabile che l’autenticità favorisca l’impatto positivo», spiega.
Purtroppo, sostiene Petriglieri, la mancanza di autenticità è proprio sotto la superficie delle proposte dei leader, quali la promozione della diversità o il congedo retribuito. Suggerisce che esse vengano in realtà utilizzate come strumenti per incrementare i profitti. In un articolo di opinione per Fast Company (nota: ho curato questo articolo) ha scritto:
«La maggior parte di questi sforzi consolida una visione della leadership che, detto senza mezzi termini, è un mezzo per raggiungere i propri obiettivi e per fare le cose con stile. Se riesci a farlo, sei un leader. Se non ci riesci, non lo sei. Questo è l’anello mancante dei ritratti della leadership come virtù individuale o come insieme di strumenti che permettono a una persona di piegare le menti degli altri e di muoverne anche i corpi. Influenzare gli altri è più importante che rappresentarli. L’efficienza conta più della libertà. La partecipazione è concepita come un modo per inglobare le persone, più che per liberarle».
Petriglieri ha scritto questo articolo quattro anni fa, all’apice della pandemia e di un’ondata di disordini civili. Ora sembra che ci troviamo in un ulteriore momento di svolta, poiché le strutture aziendali globali si stanno trasformando e metà del mondo sta facendo scelte in elezioni molto importanti. Iniziamo a vedere i leader aziendali, accademici e politici allontanarsi dai temi della governance sociale e ambientale (ESG) e della diversità, dell’equità e dell’inclusione (DEI), insieme alle relative soft skills utilizzate per promuoverli.
Petriglieri non è sorpreso: «Ammiriamo ancora un leader dominante», dice, spiegando che ciò che serve in primo luogo è creare la percezione che il leader “si preoccupi” dei suoi lavoratori o dei suoi seguaci. È qui che entra in gioco l’abilità della narrazione. Creando una storia di cura che le persone vogliono ascoltare, un leader può emergere. E, così facendo, si eleva a quel modello dominante che riconosciamo. «Se quello è il modello, tutti coloro che si comportano in quel modo sono dei leader», spiega. «Se individuiamo e valorizziamo un leader relativamente egoista, dice, la narrazione sarà che ci lamentiamo del prodotto che realizziamo».
Lydia Romano Dishman
Giornalista e opinionista economica in forza a Fast Company, ha un lungo corso di collaborazioni
con importanti testate come Forbes e New York Time Magazine.