Tutto a partire da un filo rosso

Viviana Conti
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"Il tesoro dell’unità umana è la diversità umana, ma il tesoro della diversità umana è l’unità umana" 
Edgar Morin1
"Gli ecosistemi devono essere pensati come reti di interazione al cui interno ogni essere vivente si evolve insieme agli altri"
Tomás Saraceno2
Credit: PHILIP BOND / ALARMY

Chiharu Shiota (Osaka 1972, Giappone, dal 1996 risiede e opera a Berlino), Il filo rosso del destino, installazione ambientale. Nel 2015, con il progetto The Key in The Hand, rappresenta il Giappone alla 56ª edizione della Biennale di Venezia.

Antidoto agli Effetti del Caso nella Vita: La Compagnia di Assicurazioni

Rete, umanità, pensiero, arte si interconnettono orizzontal­mente lungo un filo rosso. Si avvia un percorso di metafore? Come in Kafka, la metafora è una poetica della metamorfosi. Un filo d’aria per respirare, un filo d’acqua per idratare il vivente, un filo materiale/immateriale per estendere, ten­dere una rete in divenire verso l’altro, l’altrove, per creare comunità, coesione orizzontale. Ma anche quel filo del discorso che non cessa di tes­sere, nello spazio e nel tempo, la sua storia, i suoi miti, per accennare al filo di luce che illumina la bellezza del mosaico multicolore dell’Umanità. Un mosaico cangiante di cui ognuno, con chi gli vive accanto o chi proviene da lontano, è tesse­ra viva, volta ad alimentare consapevolmente, responsabilmente, cognitivamente, eticamente, la sostenibilità della vita umana nell’ambiente del Pianeta Terra che la ospita. Anche gli artisti sanno, tra un oracolo e l’altro, che assicurare è analizzare capillarmente gli effetti dell’incidente nella vita, soprattutto nell’ambito di un’auspica­bile transizione ecologica che dal green vegetale passa al blue delle acque, attraverso i fattori am­bientali (Environmental) antropologici (Social), produttivi (Governance).

La figura della rete – icona di The Human Sa­fety Net - nella comunanza del consorzio uma­no, a partire dalla prima infanzia per avviare al compimento di una professione tecnica, umanistica, scientifica, socio-politica, confes­sionale, artistica, rappresenta il terreno di av­vio di nuovi paradigmi inter/infra/relazionali, mentali, empatici, come risposta alle proiezio­ni del desiderio, alla ricerca e pratica di rinsal­dati valori esistenziali sul terreno etico, critico, culturale. Sintomatica è, a questo proposito, la lezione del filosofo-sociologo Zygmunt Bau­man3, volta a comprendere le sue note metafo­re di Modernità solida, generatrice, in passato, di quei valori stabili, che, con l’avvento della Postmodernità liquida, improntata a una frene­sia dei consumi, si sono irreparabilmente dis­solti a livello globale, producendo il dilagare di quelle insicurezze che solo un’azione protetti­va interstiziale può scongiurare. Un’autentica Industria della paura del disastro, sia naturale che artificiale, sembra aver l’esito – scrive Bau­man – di averne attuato, più che una riduzione quantitativa, una redistribuzione sociale.

Antidoto agli Effetti del Caso nella Vita: La Compagnia di Assicurazioni

Federica Marangoni (Padova, 1940, risiede e opera a Venezia, artista e designer multimediale internazionale) Wake up, filo rosso al laser, Piazza San Marco- Procuratie Vecchie, 7 aprile 2022.


Al centro di un interrogativo interrogante si pone l’uomo - uomo del mondo e nel mondo - parte integrante del cosmo nel suo caos e nel suo ordine, elemento di una comunità mossa verso l’esterno come verso l’interno – nel dupli­ce slittamento lacaniano dell’Extimité4 - da una dinamica del desiderio sempre protesa, come vorrebbe Georges Didi-Huberman5, verso la realtà e l’immaginazione dell’altro, verso una conoscenza implicante una coscienza. Si parla, di un corpo sociale, un social body esteso, rizo­matico, come lo vorrebbe Gilles Deleuze6, quel pensatore, filosofo, francese per cui Michel Foucault ha ipotizzato un secolo che porti il suo nome, un secolo deleuziano.

Nel volume Mille Plateaux/Millepiani Deleuze, con lo psicoana­lista Félix Guattari7, ha teorizzato un vitalismo deterritorializzante che si riterritorializza parte­cipando del divenire di altri esseri viventi, come quando scrive di quella vespa che, nel punto di contatto con un’orchidea, diventa impercet­tibilmente orchidea, di quell’orchidea che, nel punto di contatto con una vespa, diventa imper­cettibilmente vespa.

Gli artisti, sospesi tra logica e trasgressione, traccia e aura, sapere e non-sapere, tecnica e invenzione, realtà e sogno, singolarità e comu­nità, sono i più sensibili sismografi del reale, un reale, tuttavia, che partecipa del virtuale come realtà ulteriore, comunemente definita digitale, numerica. Agenti dell’immaginario, gli artisti di­ventano referenti in cammino, sorta di aruspici che non cessano di formulare oracoli interro­gando cielo e terra, mare e aria, interrogandosi per tutti noi che ne contempliamo opere che ci riguardano, ci rispecchiano. In questo conte­sto, tra Occidente e Oriente, figurano, a titolo di esempio, tre nomi paradigmatici, di genera­zioni e genere differenti, che operano nel pre­sente dell’attuale rete in fibrillante espansione. La presenza della donna, in contesto artistico, non cessa, nel corso della storia, di ricercare protezione dei suoi diritti di autorialità indipen­dentemente dal potere di segno in prevalenza maschile, alla cui luce riflessa ha troppo a lungo operato. Occorre, pertanto, ricordare che Ge­nerali è la prima Compagnia di Assicurazioni in Italia a conseguire la certificazione di parità di genere, che ne attesti l’impegno introducendo politiche di gender equality, di empowerment femminile in aree diverse tra cui la cultura e l’arte.

RETE - Tre esempi paradigmatici nell’arte contemporanea

Scaturita dalla luce della mente, formalizzata dal gesto della mano, la scrittura dell’artista Federica Marangoni diventa emblematico filo conduttore di una vita sotto il segno dell’Arte. Memory: The Light of Time, mega-installazione/evento site specific nella mitica sede della Bi­blioteca Nazionale Marciana di Venezia, non è una mostra sul tema del libro, ma una messa in opera di quell’arco cromatico della conoscen­za che è ponte tra Cielo e Terra, tra Libro e Umanità tutta. Attraversando, nei giorni della vernice, l’onirica Piazza San Marco veneziana, l’arcobaleno luminescente, emblema della sua opera, si distende linearmente per farsi Even­to di Congiunzione tra l’Istituzione Assicura­tiva, con nuova sede alle Procuratie Vecchie, e l’Istituzione Culturale della Biblioteca del Sansovino. Federica Marangoni, maestra di metafore, simboli, archetipi, è anche l’artista internazionale che presenta, nell’edizione Bo­okCity 2023 a Milano, la scultura monumenta­le/documentale Luce della Mente: libro aperto sul mondo, dalle cui pagine di ferro ossidato si liberano incisive frasi al neon di luce azzurra, rinvianti a valori e disvalori come pace/guerra, tolleranza/intolleranza, amore/odio, e ancora parole risonanti di umanità come popolo, li­bertà, energia. L’opera, nella locazione straor­dinaria del Cortile d’Onore di Palazzo Reale a Milano, illumina, come un monito universale, quest’epoca oscurata da conflitti mondiali, da crisi umanitarie.


Tomás Saraceno, artista-architetto e ricer­catore argentino, ipotizza un ecosistema com­portamentale di vita condivisa tra l’umano e il non umano. Il suo prototipo si configura come una ragnatela di fili reticolari, polveri, vento, calore. Un progetto il suo che muove dall’arte per connettersi a un mondo naturale e socia­le di vivibilità sostenibile. Formatosi a Buenos Aires, si trasferisce a Francoforte per istruire un gruppo multidisciplinare in cui cooperino biologi, ingegneri, architetti, storici dell’arte, designer. Spostatosi successivamente a Berli­no, Saraceno realizza quelle strutture sospese, fluttuanti nell’aria, che lo hanno reso noto in­ternazionalmente. Il suo progetto etico di ar­chitetture aeree, che sfruttino integralmente e capillarmente gli spazi in cui vivono, è ricon­nettere uomini e natura all’interno del Pianeta Terra, abbattendo muri, barriere geo-fisiche, economico-politiche, etno-sociali.

Il complesso schema di intervento di Sa­raceno segue il modello reticolare di una ra­gnatela in cui l’azione di tutti sia fondamen­tale alla funzionalità del sistema.

RETE - Tre esempi paradigmatici nell’arte contemporanea - Credit: ELA BIALKOWSKA / OKNO STUDIO

Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, 1973, Argentina, risiede e opera a Berlino), Aria, installazione ambientale aerea, sovente sulla base della ragnatela come trama resiliente di fili sottilissimi, mostra a Palazzo Strozzi Firenze, 2020, Fotografia © Ela Bialkowska, OKNO Studio. L’artista argentino dialoga con comunità scientifiche come la NASA - National Aeronautics Space Administration, il MIT - Massachusetts Institute of Technology di Boston, il Max Planck Institute, con sede a Monaco di Baviera.

Quando non presenta mega-installazioni aeree in spazi museali aperti, l’artista espone micro-modelli in teche di vetro, ricorrendo a tecnologie di stampa 3D o sistemi laser da lui ideati, come la tecnica dello Spider/Web Scan, che rende percepibile la tridimensione di un campione stratigrafico. L’utopico e visionario modello di sostenibilità fondato, dall’artista argentino, nell’Aerocene - termine riferibile all’aria e al volo, coniato giocando su quello di Antropo­cene - prende evidente spunto dalla sua alta propensione arachnophila, come forma di vita sensibile esterna a quella umana. La pro­posta dell’artista promuove comportamenti esistenziali che non pregiudichino il clima, stimolando più che la competizione la simbio­si tra forme diverse.

Nell’era del capitalismo digitale, del riscal­damento globale, in cui la Terra è avvolta dalle radiazioni elettromagnetiche, le utopistiche Cloud Cities di Saraceno, nate da un immagina­rio termodinamico, inaugurerebbero un noma­dismo dell’aria per una rete cosmica condivisa, esente da emissioni di carbonio, atta a volare senza usare combustibili fossili. La conoscen­za, ipotizza Tomás Saraceno, potrebbe anche scaturire da epistemologie non occidentali, da intelligenze non solo umane.

Le monumentali installazioni reticolari dell’artista giapponese Chiharu Shiota – ex al­lieva della performer serba, naturalizzata statu­nitense, Marina Abramovic - sono allegorie del­la sua mente, scaturite da memorie d’amore e dolore, di sogno e incubo. Quando annoda ma­nualmente i suoi infiniti fili di cotone rosso, l’ar­tista si muove nello spazio come se disegnasse liberamente nell’aria. Monumentali e labirintici insiemi reticolari, le sue ariose costellazioni si sollevano da terra, a partire da un oggetto alta­mente simbolico, per divenire un soffice habitat con tanto di porte, finestre, sedie, chiavi, abiti, letto. Valigie vintage pendono e oscillano nel vuoto da lunghi fili rossi tesi, ancorati al soffitto. Il topos/utopos della ragnatela agisce come rete di cattura emozionale, esistenziale, sui temi di casa e abito, memoria e viaggio.

Chiharu Shiota riattiva quella condizione psico-percettiva che Gaston Bachelard8 nomina come retentissement, condizione psichica intesa come risonanza pro­fonda in chi guarda di un’auto-riconoscimento nell’opera, come specchio in cui si ritrova, qua­si ne fosse l’autore. Affiora, infatti, nei mega progetti dell’autrice giapponese, una poetica bachelardiana dello spazio e degli oggetti quoti­diani, della dimora in cui intreccia reti di giorno, attinge al sogno la notte. Nel suo immaginario la barca, il letto, diventano culla e tomba, viaggio tra partenza e approdo. La chiave, moltiplicata indefinitamente, diventa simbolo del transito di casa in casa.

Incline all’eccesso, alla dimensione monu­mentale, questa artista che coniuga Oriente calligrafico e Occidente antropo-psico-icono­grafico, ha dato simultanea immagine al collet­tivo e alla sovraesposizione lacaniana della sua intimità, mettendo in scena il valore cerimo­niale delle reliquie di un’umanità condivisa.

Creazione artistica e atto di resistenza nel pensiero filosofico

Se lo scopo di un artista-ricercatore può essere anche quello di costruire e decostruire strutture fluide per realizzare modalità di vita a basso im­patto ambientale, ad alto potenziale di scambio sociale, quello di un pensatore, filosofo o ricer­catore scientifico, non è certo meno teso nell’in­dividuare soluzioni etiche, categorie sociali, politiche, economiche, per confrontarsi con l’i­natteso, come quello pandemico - Alain Badiou9 - a titolo d’esempio, per arginarlo, sconfiggerlo, possibilmente senza irrimediabili perdite.

Quesito: perché presentare figure di artisti, per quanto paradigmatiche delle condizioni che connotano la realtà contemporanea, nel Bollet­tino, rivista storica del Gruppo delle Generali? Perché nell’opera citata Mille Piani, di Deleuze e Guattari, si teorizza un legame stretto tra la creazione artistica e l’atto di resistenza. Se su un versante, infatti, l’arte porrebbe le condizioni di possibilità di un popolo che manca, di un popolo a venire, sull’altro versante produrrebbe un atto di resistenza all’avanzare delle cosiddette società del controllo, dal Grande Fratello all’Algoritmo.

Nel 1980 Gilles Deleuze e Félix Guattari dan­no alle stampe, come anticipato, Mille Plate­aux/Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, che prosegue il discorso iniziato con L’Anti-Edipo, éditions de Minuit. Quella pubblicazione è un «evento del linguaggio e del pensiero, scioccan­te nel colpire e impercettibile nella sua azione trasformatrice, che ancora oggi continua ad agire sui corpi, individuali e collettivi» - come accenna Paolo Vignola che ne cura, nel 2017 la ripubblicazione, Orthotes edizioni. Il volume non è composto in capitoli, ma in ripiani che possono essere letti indipendentemente gli uni dagli altri, eccetto la conclusione da leggere, ne­cessariamente, alla fine.

Nell’ottica di una paradigmatica green e di­gitale, si stanno sviluppando dispositivi atti a ibridare il mondo naturale con quello media­le. L’avventura della conoscenza è oggi quella di trovare le linee di fuga dagli assiomi rigidi di informazione, comunicazione, connessione, in­terazione, intervento, evitando che l’acquisita mobilità del Sistema si instauri giusto su quelle linee di fuga per tenerle sotto controllo e ali­mentarsene, al tempo stesso, per riformulare, avanzando, i propri territori bio-politici, micro­fisici di potere.

La Communitas, nella lettura di Roberto Esposito10, non può che derivare etimologica­mente dal latino cum munus nel senso di con un dovere che è insieme debito e dono. La categoria di communitas, sarebbe, nell’ipotesi di Esposi­to la chiave di volta dell’intero paradigma del­la Modernità. È una chiave che fa perno sulla paura che lo Stato Postmoderno non intende eliminare, ma farne motore della propria fun­zionalità. A questo proposito basta interrogare il già citato Zygmunt, Bauman11 che ha inventa­riato le paure per scoprire che il sistema di uno Stato liquido, come quello contemporaneo, non le elimina, ma le moltiplica per diffonder­le, proprio in un tempo in cui usufruiamo di un Benessere senza precedenti. Da qui derivereb­be quella condizione instabile della comunità stessa, vissuta da essere finiti, che rinunciano a convivere perché questa impossibilità stessa è il loro munus – dovere/debito/dono condivi­so, base della Communitas. Non resta loro che condividere la comune responsabilità della propria Cura. Per un equilibrio della Commu­nitas, indifferibile diventa l’impegno a inda­garne indizi e sintomi che, sulla base di un’e­tica del vulnerabile, possa restaurarne i punti critici per realizzarne a pieno le potenzialità. Connettendo provocatoriamente cinema, let­teratura noir, filosofia pragmatica america­na, è stato scritto l’aforisma “Ciascuno di noi è una compagnia di assicurazioni” di fronte all’incidenza del rischio nella nostra esistenza. Per concludere, impossibile non citare il più storicamente geniale filosofo predittivo dell’in­cidente tecnico-macchinico-percettivo-elettro­nico-nucleare (nave/naufragio, treno/deraglia­mento, aereo/precipitazione, accelerazione/ scontro, centrale nucleare/esplosione reatto­re) al punto da dedicargli un museo futuribile (Musée de l’Accident) è il francese Paul Virilio (1932, Parigi-2018, Parigi), noto anche come ur­banista, artista, teorico, esperto di nuove tecno­logie. Con la mostra, infatti, Ce qui arrive/Ciò che accade, Fondation Cartier, Parigi, 2002, Virilio espone l’incidente per esorcizzare l’incidente stesso. Con lo spirito ironico e provocatorio che lo caratterizza, Virilio non manca di aggiungere che, a ben pensare, un museo dell’incidente è già attivo e operante nel momento in cui si ac­cenda la televisione.

  • 1 Edgar Morin (pseudonimo di Edgar Nahoum, Parigi, 1921, filosofo e sociologo francese) aforisma tratto da Cambiamo strada, Raffaello Cortina editore 2020.
  • 2 Tomàs Saraceno, artista, architetto e performer argentino, nato a San Miguel de Tucumán nel 1973.
  • 3 Zygmunt Bauman, (Poznaǹ, 1925 – Leeds, 2017) è stato un sociologo e filosofo polacco.
  • 4 Il termine “Extimité, coniato dallo psicoanalista francese Jacques Lacan, coniuga la condizione dell’esteriorità con quella dell’intimità.
  • 5 Georges Didi-Huberman (Saint-Étienne, 13 giugno 1953), storico dell’arte e filosofo francese. Tra i riconoscimenti ricevuti, Il Premio Theodor W. Adorno, 2015, Il Premio Warburg della città di Amburgo, 2020, il Premio speciale Walter Benjamin per l’insieme dell’opera, 2021.
  • 6 Gilles Deleuze (Parigi, 1925 – Parigi, 1995) è stato un filosofo francese.
  • 7 Deleuze-Guattari, Millepiani, secondo di due volumi dal titolo Capitalismo e schizofrenia (Il primo è L’anti-Edipo), è stato pubblicato nel 1980 da Castelvecchi, nel 2017 da Orthotes.
  • 8 Gaston Bachelard (Bar-sur-Aube, Francia, 1884 – Parigi, 1962, filosofo francese della scienza, della poesia, epistemologo) La poétique de l’espace, 1957, Presses Universitaires de France – PUF; Poetica dello Spazio, Edizioni Dedalo, 1975.
  • 9 Alain Badiou, Niente di nuovo sotto il sole. Dialogo sul Covid-19, Paolo Quintili (a cura di) Castelvecchi editore, 2020.
  • 10 Roberto Esposito (Piano di Sorrento, Napoli, 1950) insegna Filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
  • 11 Zygmunt Bauman, Paura liquida, Editori Laterza, 2008

 

Creazione artistica e atto di resistenza nel pensiero filosofico

Viviana Conti
Viana Conti, critica d’arte, saggista, giornalista, è veneziana di nascita e vive a Genova. Dal 1972 scrive sulle neo-avanguardie, sullo sperimentalismo europeo e americano.